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SONETTO XI.

Sono alcuni fuoni, che pajono dire ciò, che altri s'immagina, come è quello della Campana. Ora il fimile avveniva al Petrarca, quando penfava, o fcriveva di Laura, che gli pareva, che il canto degli Uccelli, il ciuffolar dell' Aura, ed il mormorio i dell' Onde diceffero quelle parole, che egli s'immaginava che Laura prefente gli avrebbe dette: cioè che egli fi duole senza ragione, perchè non è morta.

Se
e lamentar augelli, o verdi fronde
Mover foavemente all' aura eftiva,
O roco mormorar di lucid' onde
S'ode d'una fiorita, e fresca riva;
Là'v'io feggia d'amor penfofo, e scriva;
Lei che'l Ciel ne moftrò, terra n'asconde,
Veggio, ed odo, ed intendo: ch'ancor viva
Di si lontano a' fofpir miei rifponde.
Deh perchè innanzi tempo ti confume?
Mi dice con pietate; a che pur verfi
Degli occhi trifti un dolorofo fiume?
Di me non pianger tụ, che miei dì ferfi,
Morendo, eterni; e nell' eterno lume,
Quando moftrai di chiuder gli occhi, aperfi.

SONETTO XII

Commendazione d'un luogo, dové per avventura il Petrarca fi trovava, dalla folitudine, è dalla piacevolezza.

Mai non fu'in parte ove sì chiar vedeffi

Quel che veder vorrei, poi ch'io nol vidi;
Nè, dove in tanta libertà mi fteffi;

N'empieffi 1 ciel di sì amorofi ftridi:

Nè giammai vidi valle aver si fpeffio 1999
Luoghi da fofpirar ripofti, e fidi;

Nè credo già, ch' Amor'in Cipro avessi,
O in altra riva sì foavi nidi.

L'acque parlan d'Amore, e l'ora, e i rami,

E gli augelletti, ei pefci, e i fiori, e l'erba;
Tutti infieme pregando ch'i' fempr❜ami.

Ma tu ben nata, che dal Ciel mi chiami;
Per la memoria di tua morte acerba
Preghi ch'i' fprezzi'l mondo, e fuoi dolci hami.

SONETTO XIII.

O torni a cafa, o vada fuori di cafa, fempre gli par di vedere Laura, o in Fonte, o in Prato, e in vifta pietofa. Torna a cafa lagrimando, e fofpirando: va fuori di cafa in luoghi folitarj gridando, e penfando. Torna a cafa, per fuggire la compagnia: va fuori di casa per trovar Laura col penfiero.

Qu

uante fiate al mio dolce ricetto

Fuggendo altrui, e, s' effer può, me fteffo,
Vo con gli occhi bagnando l'erba, e'l petto;
Rompendo co' fofpir l'aere da preffo:

Quante fiate fol pien di fofpetto

Per luoghi ombrofi, e fofchi mi fon meffo
Cercando col penfier l'alto diletto

Che Morte ha tolto; ond' io la chiamo fpeffo:

Or' in forma di Ninfa, o d'altra Diva,
Che del più chiaro fondo di Sorga esca,
E pongafi a feder in fu la riva;

Or l'ho veduta fu per l'erba fresca ask
Calcar i fior, com' una donna viva,
Moftrando in vifta, che di me le'ncrefca,

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SONETTO XIV.

Ringrazia Laura che gli apparisca.

Alma felice, che fovente torni

A confolar le mie notti dolenti

Con gli occhi tuoi, che Morte non ha spenti,
Ma fovra'l mortal modo fatti adorni;

Quanto gradifco ch'i miei trifti giorni
A rallegrar di tua vifta confenti:
•Così incomincio a ritrovar prefenti
Le tue bellezze a fuo ufati foggiorni.
Là've cantando andai di te molt anni,

I'

Or, come vedi, vo di te piangendo;
Di te piangendo nò, ma de' miei danni.
in molti

Sol' un ripofo trovo in

affanni;
Che quando torni, ti conofco, e'ntendo
All'andar, alla voce, al volto, a' panni,

A

....

កា

SONETTO XV.

Commendazione della confolazione, che prende dell'apparizione di Laura.

Difcolorato hai, Morte, il più bel volto

Che mai fi vide; e i più begli occhi fpenti;
Spirto più accefo di virtuti ardenti ****

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Del più leggiadro, e più bel nodo hai fciolto,
In un momento ogni mio ben m'hai tolto:
Pofto hai filenzio a più foavi accenti
Che mai s'udiro; e me pien di lamenti:
Quant' io veggio, m'è noja, e quant'io ascolto,
Ben torna a confolar tanto dolore

Madonna, ove pietà la riconduce;
Nè trovo in questa vita altro foccorfo:

E fe com'ella parla, e come luce,

Ridir poteffi; accenderei d'amore,

Non dirò d'uom', un cor di tigre, o d'orfo.

SONETTO XVI.

Si duole che il contemplar di Laura per immaginazione fia breve; perciocchè, mentre la contempla, nulla gli noce.

Si breve è'l tempo, e'l penfier sì veloce

Che mi rendon Madonna così morta;
Ch'al gran dolor la medicina è corta:
Pur mentr' io veggio lei, nulla mi noce.

Amor, che

Trema ha legato, e tiemmi in croce;

Trema quando la vede in fu la porta
Dell'alma, ove m'ancide ancor si fcorta,
Si dolce in vifta, e si foave in voce.

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Come donna in fuo albergo, altera vene,
Scacciando dell'ofcuro, e grave core
Con la fronte ferena i penfier trifti.
Con la

L'alma, che tanta luce non foftene,
Sofpira, e dice: O benedette l'ore
Del dì che questa via con gli occhi apristi!

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Con l'efempio della Madre che configlia il Figliuolo, e della Spofa lo Spofo in cafo dubbio, dimoftra quali foffeso le ammonizioni di Laura apparentegli, perchè fi guardasse da' lacci del Mondo.

Nè mai pietofa madre al caro figlio,

Ne donna accefa al fuo fpofo diletto
Diè con tanti fofpir, con tal fofpetto
In dubbio ftato si fedel 'configlio;

Come a me quella che 'l mio grave efiglio
Mirando dal fuo eterno alto ricetto,
Speffo a me torna con l'ufato affetto,
E di doppia pietate ornata il ciglio,

Or di madre, or d'amante: or teme, or'arde
D'onefto foco; e nel parlar mi moftra
Quel che 'n quefto viaggio fugga, o fegua,
Sམ གས་བ་

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