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SONETTO CCXXVII.

Sennuccio aveva fcritto un Sonetto al Petrarca il quale già cinque anni era fuori di Provenza, invitandolo a venirvi, fi perchè a lui pareva che Laura ne' fembianti il defideraffe molto, fi perchè il Signor fuo il Cardinale della Colonna mostrava che gli farebbe molto cara la fua venuta, Ora risponde il Petrarca al Cardinale, e fi fcufa prima che non venga. Appreffo il quale gli racconta quello che fente dell' effer lontano da Laura, Soggiunge poi, che non ha altro Signore, che il Cardinale, ne altra Donna, che Laura, a'quali s'è obbligato di volontà propria fpontaneamente.

Signor mio caro, ogni penfier mi tira
Devoto a veder voi, cui fempre veggio:
La mia fortuna (or chi mi può far peggio?)
Mi tene a freno, e mi travolve, e gira.
Poi quel dolce defio ch' Amor mi fpira,
Menami a morte, ch'i' non me n'avveggio;
E mentre i miei duo lumi indarno cheggio
Dovunqu'io fon, dì, e notte fi fofpira,

Carità di fignore, amor di donna

Son le catene, ove con molti affanni
Legato fon, perch'io fteffo mi ftrinfi.

Un Lauro verde, una gentil Colonna,
Quindici l'una, e l'altro diciott' anni

Portato ho in feno, e giammai non mi fcinfi,

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PARTE SECOND A.

SONETTO PRIMO.

Lamento della perdita che ha fatta per la morte di Laura,

O

imè il bel vifo; oimè il foave fguardo; Oimè il leggiadro portamento altero;

Oimè'l parlar ch'ogni afpro ingegno, e fero
Faceva umíle, ed ogni uom vil, gagliardo;
E oimè il dolce rifo ond' ufcío'l dardo

Di che morte, altro bene omai non fpero:
Alina real, digniffima d'impero,

Se non foffi fra noi fcefa sì tardo.

Per voi conven ch'io arda, e'n voi respire:
Ch'i' pur fui voftro: e fe di voi fon privo;
Via men d'ogni fventura altra mi dole.

Di speranza m' empieste, e di desire,
Quand'io partii dal fommo piacer vivo:
Ma'l vento ne portava le parole.

CANZONE I

Queftione, fe il Petrarca fi debba uccidere, effendo morța Laura. Per la parte del sì adduce due ragioni, e foggiunge certo conforto, che non gli lascia mandare ad esecuzione quel che 'gli dettano le due ragioni. Ultimamente conchiude per la parte del nò per due più potenti ragioni.

Che debb'io far? che mi configli, Amore?
Tempo è ben di morire:

Ed ho tardato più ch'i' non vorrei.

Madonna è morta, ed ha feco'l mio core;
E volendol feguire,

Interromper conven queft' anni rei:
Perchè mai veder lei

Di qua non fpero; e l'afpettar m'è noja,
Pofcia ch'ogni mia gioja

Per lo fuo dipartire in pianto è volta;
Ogni dolcezza di mia vita è tolta.

Amor, tu'l fenti, ond' io teco mi doglio,,
Quant'è'l danno afpro, e grave;

E fo che del mio mal ti pefa, e dole;
Anzi del noftro: perch'ad uno fcoglio
Avem rotto lo nave:

Ed in un punto n'è fcurato il Sole.

Qual' ingegno a parole

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Poria agguagliar' il mio dogliofo ftato?

Abi orbo mondo ingrato,

Gran cagion' hai di dever pianger meco;

Che quel ben ch'era in te, perdut' hai feco.

Caduta è la tua gloria; e tu nol vedi;
Nè degno eri mentr'ella

Viffe quaggiù, d'aver fua conofcenza,
Ne d'effer tocco da' fuoi fanti piedi:
Perchè cofa sì bella,

Devea'l Ciel' adornar di fua prefenza.
Ma io, laffo, che fenza

Lei nè vita mortal, nè me ftefs' amo;
Piangendo la richiamo:

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Questo m'avanza di cotanta fpene;
E quefto folo ancor qui mi mantene.

Oimè, terra è fatto il fuo bel vifo,
Che folea far del Cielo,

E del ben di lafsù fede fra noi.
L'invifibil fua forma è in Paradifo
Difciolta di quel velo

Che qui fece ombra al fior degli anni fuoi,
Per riveftirfen poi

Un'altra volta, e mai più non spogliarfi;
Quand' alma, e bella farfi

Tanto più la vedrem, quanto più vale
Sempiterna, bellezza che mortale.

Più che mai bella, e più leggiadra donna
Tornami innanzi, come

Là dove più gradir fua vifta fente.
Queft'è del viver mio l'una colonna:
L'altra è'l fuo chiaro nome,

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Che fona nel mio cor si dolcemente.
Ma tornandomi a mente

Che pur, morta è la mia fperanza viva
Allor ch' ella fioriva;

Sa ben' Amor, qual' io divento: e fpero
Vedal colei ch'è or si preffo al vero.

}

Donne, voi che mirafte fua beltate,

E l'angelica vita,

Con quel celefte portamento in terra;
Di me vi doglia, e vincavi pietate,
Non di lei, ch'è falita -

A tanta pace, e me ha lasciato in guerra;
Tal, che s'altri mi serra

Lungo tempo il cammin da feguitarla;
Quel ch' Amor meco parla,

Sol mi riten ch'io non recida il nodo:
Ma e' ragiona dentro in cotal modo;

Pon freno al gran dolor che ti trasporta;
Che per foverchie voglie

Si perde'l Cielo, ove'l tuo core afpira;
Dov'è viva colei ch'altrui par morta;
E di fue belle spoglie

Seco forride; e fol di te fofpira;
E fua fama che spira

In molte parti ancor per la tua lingua,
Prega che non estingua;

Anzi la voce al fuo nome rischiari;
Se gli occhi fuoi ti fur dolci, nè cari.

Fuggi'l fereno, e'l verde;

Non t'appreffar ove fia rifo, o canto,
Canzon mia, nò, ma pianto:

Non fa per te di ftar fra gente allegra,
Vedova fconfolata in vesta negra.

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