Il cor prefo ivi, come pefce all'amo; O come novo augello al visco in ramo: ********************************** Accolto il Petrarca da lieta vifta di Laura, e da buone parole, fa quefto Sonetto. Vi ive faville ufcian de' duo bei lumi C. L'alma nudrita fempre in doglie, e'n pene SONETTO CCXXI. Si duole il Poeta d' effere in Tofcana ne' luoghi populati dove, quando fcriffe quefto Sonetto, era, e difiderarebbe d'effere a Sorga in folitudine. Poi, fovvenutogli che questo luogo di Sorga spiaceva alla fua Donna, fi duole della Fortuna, che ancora nel defiderio lo fofpinga in quel luogo il quale è indegno dell eccellenza di Laura. Cercato ho fempre folitaria vita (Le rive il fanno, e le campagne, e i boschi) E fe mia voglia in ciò foffe compita, Mi rifofpigne al loco ov'io mi fdegno J Alla man' ond'io fcrivo è fatta amica 000000000000000000 SONETTO CCXXII. Commenda la bellezza di Laura, e principalmente gli occhi, per lo giudizio del fuo cuore, per comparazione foprapponendola alle Donne antiche famofe di beltà. Poi dice che questa eccellenza è di grande ornamento a Natura, e diletto a lui; ma che è troppo brieve, dubitando di quello che avvenne, che moriffe tofto. In tale ftella duo begli occhi vidi Tutti pien' d'oneftate, e di dolcezza, SONETTO CCXXIII. Invita le Donne le quali cercano onore di fenno, di valore, di cortefia, che debbano riguardare negli occhi di Laura, dove troveranno ogni virtù, Q ual donna attende a gloriofa fama Di fenno, di valor, di cortefia; Miri fifo negli occhi a quella mia Nemica che mia Donna il mondo chiama. Gome s'acquifta onor, come Dio s'ama, Di gir' al Ciel, che lei afpetta, e brama; Non vi s'impara: che quei dolci lumi SONETTO CCXXIV. Dice che vitá fenza oneftà è morte, adducendo l'efempio di Lucrezia che, perduta l' onestà, non potè vivere. Cara la vita, e dopo lei mi pare Vera onestà, che 'n bella donna fia. E qual fi lafcia di fuo onor privare, Nè donna è più, nè viva: e fe qual pria, Se non, come a morir le bifognaffe Vengan quanti filofofi fur mai A dir di ciò; tutte lor vie fien baffe: SONETTO CCXXV. Commendazione della caftità di Laura, la quale appella Arbor vittoriofa, ec. fecondando il nome fuo, e dimoftrando infieme l'onore, e la caftità, della quale intende di parlare. Arbor vittoriofa, e trionfale, Onor d'imperadori, e di poeti; Quanti m'hai fatto di dogliofi, e lieti In quefta breve mia vita mortale! Vera Donna, ed a cui di nulla cale, Se non d'onor, che fovr'ogni altra mieti; Nè d'Amor visco temi, o lacci, o reti; Nè'nganno altrui contra 'l tuo fenno vale. Gentilezza di fangue, e l'altre care Cofe tra noi, perle, e rubini, ed oro, Quafi vil foma, egualmente difpregi. L'alta beltà ch'al mondo non ha pare, Noja te, fe non quanto il bel teforo Di caftità par ch'ella adorni, e fregi. XXXX CANZONE XXI. Racconta il Petrarca in quefta Canzone, come è combattuto da tre, anzi da quattro penfieri. Il primo penfiero è per proprie forze di liberarfi dal Mondo, e dall' amore. Il fecondo è di farfi per fama immortale, il quale non può effer vinto dal primo. Il terzo fi è di seguire Amore, il quale uccide i due primi. Per la qual cofa falta nel quarto che è di domandare foccorfo a Dio, moftrando la debolezza delle fue forze. I vo penfando, e nel penfier m'affale Che mi conduce fpeffo Ad altro lagrimar ch'i' non foleva: |