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SONETTO CCI.

Commenda per un bacio dato negli occhi, e nella fronte dal Re di Francia, o da altra nobile perfona a Laura, che con altre Donne era per onorar la fua venuta ad una Fefta, il giudizio di quella cotal perfona. Anzi commenda la bellezza di Laura per la dignità della perfona a cui piacque.

Real natura, angelico intelletto,

Chiar' alma, pronta vifta, occhio cerviero,
Provvidenza veloce, alto penfiero,
E veramente degno di quel petto:
Sendo di donne un bel numero eletto
Per adornar' il dì fefto, ed altero;
Subito fcorfe il buon giudicio intero
Fra tanti, e si bei volti il più perfetto:
L'altre maggior di tempo, o di fortuna
Trarfi in difparte comandò con mano:
E caramente accolfe a sè quell' una:

Gli occhi, e la fronte con fembiante umano
Baciolle sì, che rallegrò ciafcuna:
Me empiè d'invidia l'atto dolce, e ftrano.

SESTINA VIII.

Là ver l'aurora, che si dolce l'aura
Al tempo novo fuol mover'i fiori,
E gli augelletti incominciar lor verfi;
Si dolcemente i penfier dentro all' alma
Mover mi fento a chi gli ha tutti in forza;
Che ritornar conviemmi alle mie note.

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Temprar potefs' io in sì foavi note

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I miei fofpiri, ch'addolciffen Laura,
Facendo a lei ragion, ch'a me fa forza:
Ma pria fia'l verno la ftagion de' fiori,
Ch' amor fiorisca in quella nobil' alma,
Che non curò giammai rime, nè verfi.

Quante lagrime, laffo, e quanti versi

Ho già fparti al mio tempo! e'n quante note
Ho riprovato umiliar quell'alma!

Ella fi fta pur, com'afpr' alpe all'aura
Dolce: la qual ben move frondi, e fiori,
Ma nulla può fe'ncontr' ha maggior forza.

Uomini, e. Dei folea vincer per forza

Amor, come fi legge in profa, e'n verfi;
Ed io'l provai'n ful primo aprir de' fiori:
Ora nè'l mio Signor, nè le fue note,
Nè'l pianger mio, nè i preghi pon far Laura
Trarre o di vita, o di martir queft' alma.

All'ultimo bifogno, o mifer' alma,

Accampa ogni tuo ingegno, ogni tua forza,
Mentre fra noi di vita alberga l'aura,
Null' al mondo è che non poffano i verfi:
E gli afpidi incantar fanno in lor note,
Non che'l gielo adornar di novi fiori.

Ridon' or per le piaggie erbette, e fiori:
Effer non può che quell' angelic' alma
Non fental fuon dell'amorofe note.
Se noftra ria fortuna è di più forza,
Lagrimando, e cantando i noftri verfi,
E col bue zoppo andrem cacciando l'aura.

In rete accolgo l'aura e'n ghiaccio i fiori:
E'n verfi tento forda, e rigid'alma;
Che nè forza d'amor prezza, nè note.

SONETTO CCII.

E dice d'aver

Si fcufa, che trapaffi i fegni, ed i termini pofti da Laura o in vifitandola, o in parlando, o in facendo altro. pregato Amore, e di ripřegarlo, che lo fcufi appo lei.

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L'ho pregato Amor', e nel riprego,

Che mi fcufi appo voi, dolce mia pena,
Amaro mio diletto, fe con piena
Fede dal dritto mio fentier mi piego.

I'nol poffo negar, Donna, e nol nego;

Che la ragion, ch' ogni buon' alma affrena,
Non fia dal voler vinta; ond' ei mi mena
Talor' in parte ov'io per forza il fego.

Voi con quel cor che di sì chiaro ingegno,
Di si alta virtute il cielo alluma,
Quanto mai piovve da benigna ftella;

Devete dir pietofa, e fenza fdegno:

Che può quefti altro? il mio volto 'l confuma;
Ei perchè ingordo, ed io perchè sì bella.

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Inferma effendo Laura, dice che Amore l'aveva fedito prima con uno ftrale amorofo, cioè per la fua bellezza, mentre ella era in iftato, s'era innamorato da non guarir mai: ma ora che l'ha fedito con uno ftrale di pietà, cioè per la fua guafta bellezza per la' nfermità, lo tormenta di compaflione; nè però rimane d'amarla come prima.

L'alto Signor dinanzi a cui non vale
Nafconder, nè fuggir, nè far difefa;
Di bel piacer m' avea la mente accefa
Con un'ardente, ed amorofo ftrale:

E benchè 'l primo colpo afpro, e mortale
Foffe da sè; per avanzar fua imprefa,
Una faetta di pietate ha prefa:1

E quinci, e quindi'l cor punge, ed affale.

L'una piaga arde, e verfa foco, e fiamma;
Lagrime l'altra, che'l dolor diftilla

Per gli occhi miei del voftro ftato rio:

Nè per duo fonti fol'una favilla
Rallenta dell'incendio che m'infiamma;
Anzi per la pietà crefce'l defio.

SONETTO CCIV.

Partitofi da Laura in difcordia, il di feguente vuole mandare il cuore a spiare, fe tempo ancora foffe da ritornare a Laura, e da rappacificarfi con lei, e gli moftra il luogo dove debba andare. Poi se fteffo riprende di questo parlare, perchè il cuore non è con lui, ma con Laura.

Mira quel colle, o ftanco mio cor vago:

Ivi lafciammo ier lei ch' alcun tempo ebbe Qualche cura di noi, e le ne'ncrebbe, Or vorria trar degli occhi noftri un lago. Torna tu in là, ch'io d'effer fol m'appago: Tenta, fe forfe ancor tempo farebbe Da fcemar noftro duol, che'n fin qui crebbe; O del mio mal partecipe, e prefago. Or tu c'hai pofto te fteffo in obblio,

E parli al cor pur com'e' foffe or teco;
Mifero, e pien di penfier vani, e fciocchi!
Ch'al dipartir del tuo fommo defio

Tu ten'andafti; e' fi rimafe feco,
E fi nafcofe dentro a'fuoi begli occhi,

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Rivolge

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SONETTO CCV.

parlare a quel Colle, nel quale nel Sonetto preceden

te diffe il cuore fuo effere rimafo con Laura.

Frefco, ombrofo, fiorito, e verde colle;
Ov'or penfando, ed or cantando fiede,
E fa qui de' celefti fpirti fede

Quella ch'a tutto'l mondo fama tolle;

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