SONETTO CXCVI. Biafima l'Ira, dall' esempio d'Alessandro, di Tidéo, di Silla, di Valentiniano, d'Ajace, uomini granditlimi, li quali feguen• do l'Ira, o hanno fatti atti vergognofi, o si sono morti, Vincitore Aleffandro l'ira vinse, E fel minor' in parte, che Filippo: Che li val fe Pirgotele, e Lifippo L'intagliar folo, ed Apelle il dipinse? L'ira Tidéo a tal rabbia fofpinfe, Che morend' ei fi rofe Menalippo: Ira conduce; e fal quei che ne more, Ira è breve furor'; e chi nol frena, E' furor lungo, che'l fuo poffeffore SONETTO CXCVII. Si rallegra che effendo andato a vifitar Laura, che aveva male agli occhi, il male s'appiccaffe a lui e lasciasse lei. Q ual ventura mi fu, quando dall' uno De' duo i più begli occhi che mai furo, Moffe vertù che fè'l mio infermo, e bruno! Send' io tornato a folver il digiuno Di veder lei che fola al mondo curo; SONETTO CXCVIII. 9 Significazione della fua infelicità per la noja, che prende da que' luoghi dove foleva trovare ripofo. cameretta, che già fofti un porto Il vulgo a me nemico, ed odiofo (Ch'il pensò mai?) per mio refugio chero; SONETTO CXCIX. Avendogli Laura fatto a fapere, che non paffaffe da cafa fua, o almeno che vi paffaffe meno fpeffo, egli nondimeno vi pasfava per vederla; in quefti due Sonetti si scusa del fuo paffare. Laffo, Amor mi trafporta ov'io non voglio; Nè mai faggio nocchier guardò da fcoglio Quant' io fempre la debile mia barca Ma lagrimofa pioggia, e fieri venti Ov' altrui noje, a sè doglie, e tormenti SONETTO CC. Amor', io fallo; e veggio il mio fallire: Ma fo sì, com'uom ch'arde, e'l foco ha'n feno; Solea frenare il mio caldo defire, Per non turbar' il bel vifo fereno: Non poffo più; di man m' hai tolto il freno; Però s'oltra fuo ftile ella s'avventa; Tu'l fai; che sì l'accendi, e sì la fproni, E più'l fanno i celefti, e rari doni C'ha in sè Madonna: or fa'lmen, ch'ella il fenta; 0000000000000000000000000 SESTINA VII. Difperazione, che i fuoi mali mai non debbono ceffare. Non ha tanti animali il mar fra l'onde; Di di in dì fpero omai, l'ultima fera Che fcevri in me dal vivo terren l'onde, I'non ebbi giammai tranquilla notte: Ma fofpirando andai mattino, e fera, Poi chi' Amor femmi un cittadin de' bofchi. Ben fia in prima ch'i' pofi, il mar fenz' onde; E la fua luce avrà 'l Sol dalla Luna; E i fior d'April morranno in ogni piaggia. Confumando mi vo di piaggia in piaggia Il di penfofo; poi piango la notte; Nè ftato ho mai, fe non quanto la Luna. Ratto, come imbrunir veggio la fera, Sofpir del petto, e degli occhi efcon' onde, Da bagnar l'erbe, e da crollare i boschi. Le città son nemiche, amici i boschi A'miei penfier, che per queft' alta piaggia Deh or fofs' io col Vago della Luna E'l di fi fteffe, e'l Sol fempre nell'onde. Sovra dure onde al lume della Luna, |