Poi le vidi in un carro trionfale, E Laura mia con fuoi fanti atti schifi Non cofe umane, o vision mortale. SONETTO CXC. Lontano il Petrarca da Laura dice quale vita è la fua. Poi ri volgendo il parlare al luogo, dove è Laura, dimostra por. targli invidia. Paffer mai folitario in alcun tetto Non fu, quant'io; nè fera in alcun bofco: Il Sonno è veramente, qual' uom dice, Solo al mondo paese almo felice, Verdi rive, fiorite ombrofe piagge, SONETTO CXCI Era il Petrarca lontano da Laura. Or ficcome nel Sonetto precedente moftra d'invidiare al luogo, dove era Laura, così in quefto al Venticello che fpirava verfo quella parte, ed al Fiume, che difcorreva medefimamente verfo quella parte. Aura, che quelle chiome bionde, e crepe. Mi pungon sì, che 'n fin qua il fento, e ploro, Com'animal che fpeffo adombre, e'ncespe: Ch'i'ne fon lunge: or mi foilevo; or caggio; Aer felice, col bel vivo raggio Rimanti: e tu corrente, e chiaro gorgo, **** ********** SONETTO CXCII. **** Narra fotto figura d'un Alloro tutta l'Iftoria del suo amore. A mor con la man deftra il lato manco M' aperfe; e piantovv' entro in mezzo 'I core Ogni fineraldo avria ben vinto, e flanco. Vomer di penna con fofpir del fianco, E'l piover giù dagli occhi un dolce umore Son le radici della nobil pianta. SONETTO CXCIII. Dice che è felice nell' affanno, e rende la ragione, la quale è, che l'affanno gli viene da Donna di tanto valore, che per ciò non fi dee cura l'affanno. Cantai; or piango; e non men di dolcezza Amor, Madonna, il mondo, e mia fortuna: Stato del mio non è fotto la luna: Si dolce è del mio amaro la radice. 1 SONETTO CXCIV. Si rallegra che Laura gli ha renduta la vifta lieta; e per aggrandire l'allegrezza, dimoftra quale foffe la triftizia, quando era turbata, o non appariva. Poi dice che non lo fa però Signore di sè, ma folamente ha fatta pace, acciocchè viva. I pianfi; or canto; che'l celefte lume Onde e' fuol trar di lagrime tal fiume Per accorciar del mio viver la tela; Non lauro, o palma, ma tranquilla oliva Pietà mi manda; e'l tempo rafferena; 000000000000:0000000000000 SONETTO CXCV. Si duole del male degli occhi di Laura. Prima pone il bene, che egli ne sentiva, ancora quando gli fi moftravano turbati. Poi pone il male prefente degli occhi. Appreffo, dolendofi dell' Autore del male, domanda alla Natura, chi le ha data tanta poffanza di far male agli occhi di Laura. E perchè ogni poflanza è da Dio, almeno per permiflione, rivolge il parlare a Dio, quafi aggravandoti di tal permiffione. 'mi viveá di mia forte contento Senza lagrime, e fenza invidia alcuna: Or que' begli occhi ond' io mai non mi pento O Natura, pietofa, e fera madre, Onde tal poffa, e sì contrarie voglie D'un vivo fonte ogni poder s'accoglie: |