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Amor par ch' all' orecchie mi favelle,
Dicendo: Quanto quefta in terra appare,
Fia'l viver bello; e po'l vedrem turbare,
Perir vertuti, e'l mio regno con elle.
Come Natura al ciel la Luna, e'l Sole;
All' aere i venti; alla terra erbe, e fronde;
All'uomo e l'intelletto e le parole;

Ed al mar ritoglieffe i pefci, e l'onde;
Tanto, e più fien le cofe ofcure, e fole,
Se Morte gli occhi fuoi chiude, ed afconde.

SONETTO CLXXXIII.

Al cantar novo, e'l pianger degli augelli
In ful dì fanno rifentir le valli,
El mormorar de' liquidi cristalli
Giù per lucidi freschi rivi, e fnelli,

Quella c'ha neve il volto, oro i capelli;

Nel cui amor non fur mai'nganni, nè falli;
Deftami al fuon degli amorofi balli,
Pettinando al fuo vecchio i bianchi velli.

Così mi fveglio a falutar l' Aurora,

E'l Sol, ch'è feco, e più l'altro, and io fui
Ne' prim' anni abbagliato, e fono ancora.

I' gli ho veduti alcun giorno ambedui

Levarsi insieme; e'n un punto, e'n un'ora,
Quel far le ftelle, e quefto fparir lui.

SONETTO CLXXXIV.

Commendazione de' capelli, de' labbri, delle carni, de' denti, della fronte, del cantare, e degli occhi di Laura.

Onde tolfe Amor l'oro, e di qual vena

Per far due treccie bionde? e'n quali spine
Colfe le rofe; e'n qual piaggia le brine
Tenere, e fresche; e diè lor polfo, e lena?

Onde le perle in ch'ei frange, ed affrena
Dolci parole, onefte, e pellegrine?
Onde tante bellezze, e si divine
Di quella fronte più che'l ciel ferena?

Da quali Angeli moffe, e di qual fpera
Quel celefte cantar che mi disface
Sì, che m'avanza omai da disfar poco?

Di qual Sol nacque l'alma luce altera

Di que' begli occhi ond' i' ho guerra, e pace,
Che mi cuocono'l cor' in ghiaccio, e'n foco?

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SONETTO CLXXXV.

Affegna la ragione, perchè torni a rivedere Laura, che pareva che non vi dovesse tornare, effendo fempre da lei più acceso in guifa che costretto è di morire.

Qual

ual mio deftin, qual forza, o qual' inganno
Mi riconduce difarmato al campo

Là've sempre fon vinto; e s'io ne fcampo,
Maraviglia n'avrò, s'i'moro, il danno?

Danno non già, ma prò: sì dolci ftanno
Nel mio cor le faville, e'l chiaro lampo
Che l'abbaglia, e lo strugge, e 'n ch'io m'avvampo;
E fon già ardendo nel vigefim' anno.
Sento i meffi di morte ove apparire

Veggio i begli occhi, e folgorar da lunge:
Poi, s'avven ch'appreffando a me li gire,

Amor con tal dolcezza m'unge, e punge,
Ch'i' nol fo ripenfar, non che ridire:
Che nè 'ngegno, nè lingua al vero aggiunge.

SONETTO

CLXXXVI.

Andando alcune Donne compagne di Laura fuori di cafa a diporto, avevano invitata Laura a cui o il Padre, o i Fratelli vietarono che teneffe lo 'nvito. Ora il Petrarca trovato quefto drappello di Donne andanti per via, e ragionanti, le domanda, dove fia Laura: elleno rifpondono, che fono liete per la memoria che tengono di Laura; dogliofe perchè in verità non è con loro, la quale è reftata in casa per invidia, o gelofia de' Parenti, contra alla quale fgridano, e confolano il Petrarca, che ella fi turbò, e pianse per efferle impedito il dimoftrarfi al Petrarca.

Liete, e penfofe; accompagnate, e fole

Donne, che ragionando ite per via;
Ov'è la vita, ov'è la morte mia?
Perchè non è con voi, com' ella fole?

Lieté fiam per memoria di quel Sole;
Dogliofe per fua dolce compagnia,
La qual ne toglie invidia, e gelofia;
Che d'altrui ben, quafi fuo mal, fi dole.

Chi pon freno a gli amanti, o dà lor legge?
Neffun' all'alma; al corpo ira, ed afprezza:
Quefto ora in lei, talor fi prova in noi.

Ma fpeffo nella fronte il cor fi legge;
Si vedemmo ofcurar l'alta bellezza,
E tutti rugiadofi gli occhi fuoi.

Q

SONETTO CLXXXVII.

uando 'l Sol bagna in mar l'aurato carro,
E l'aer noftro, e la mia mente imbruna;
Col cielo, e con le ftelle, e con la luna
Un'angofciofa, e dura notte innarro:

Poi, laffo, a tal che non m' ascolta, narro
Tutte le mie fatiche ad una ad una;
E col mondo, e con mia cieca fortuna,
Con Amor, con Madonna, e meco garro.
Il fonno è'n bando; e del ripofo è nulla:
Ma fofpiri, e lamenti infin' all'alba,
E lagrime, che l'alma a gli occhi invia.

Vien poi l'Aurora, e l'aura fofca inalba:
Me nò; ma'l Sol che'l cor m'arde, e traftulla,
Quel può folo addolcir la doglia mia,

SONETTO CLXXXVIII.

S'una fede amorofa, un cor non finto,

Un languir dolce, un defiar cortefe;
S'onefte voglie in gentil foco accefe;
S'un lungo error' in cieco laberinto;
Se nella fronte ogni penfier dipinto,
Od in voci interrotte appena intese,
Or da paura, or da vergogna offefe;
S'un pallor di viola, e d'amor tinto;
S'aver altrui più caro, che sè fteffo;

Se lagrimar, e fofpirar mai fempre;
Pafcendofi di duol, d'ira, e d'affanno;
S'arder da lunge, ed agghiacciar da preffo;

Son le cagion ch' amando i'mi diftempre,
Voftro, Donna, 1 peccato, e mio fia'l danno.

SONETTO CLXXXIX.

Commenda una Barchetta, nella quale erano dodici Donne, e Laura.

Dodici donne oneftamente lasse,

Anzi dodici ftelle, e'n mezzo un Sole
Vidi in una barchetta allegre, e fole.
Qual non fo s'altra mai onde folcaffe:

Simil non credo che Giafon portaffe

Al vello ond' oggi ogni uom veftir fi vole;
Nè'l Paftor di che ancor Troja fi dole;
De' qua' duo tal romor' al mondo faffe.

Poi

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