Si ricca donna deve effer contenta Chi nol fa, di ch'io vivo, e viffi fempre Queto i frali, e famelici miei fpirti. Difconvienfi a fignor l'effer sì parco. Fa di tua man, non pur bramando, Ꭵ mora: Chiufa fiamma è più ardente; e fe pur crefce, O mia forte ventura a che m'adduce! Al cor mi nacque la tenace speme Quella che con tua forza al fin mi mena! Così di ben' amar porto tormento; E del peccato altrui cheggio perdono, Dal troppo lume, e di Sirene al fuono L'ultimo colpo chi mi diede il primo: Un modo di pietate occider tofto, A far altro di me che quel che foglia: Starò ch'egli è difnor morir fuggendo. Di tai lamenti; sì dolce è mia forte, Servo d' Amor che quefte rime leggi, Ben non ha'l mondo che'l mio mal pareggi. XXXXX SONETTO CLXXIII. XXXXX Veniva il Petrarca di verso l'Alpi, e andava a Laura, e, trovandofi in fu il Rodano, gli dice che debba, poichè la Natura il mena verfo Laura, nè si stanca, nè dorme, dirle da parte fua che lo Spirto è pronto di venir a lei, ma che la Carne è ftanca. Rapido fiume; che d'alpestra vena Rodendo intorno, onde'l tuo nome prendi, Ov' Amor me, te fol natura mena; Nè ftanchezza, nè fonno: e pria che rendi * Per Ove, Ivi è quel noftro vivo, e dolce Sole SONETTO CLXXIV. Dimoftra quale fia fuo ftato, allontanandofi da Laura, che ha dinanzi agli occhi il luogo dove è Laura. Nè per andare si scosta dal detto luogo, nè fi ritrae dall' amorofo giogo, anzi più vi fottentra: ficcome il Cervo fedito di faetta avvelenata, quanto più s'affretta, e fugge, tanto più s'avvelena, e s' impiaga. dolci colli ov'io lasciai me stesso, Partendo onde partir giammai non poffo; Meco di me mi maraviglio fpeffo; Ch'i' pur vo fempre, e non fon' ancor mosso Col ferro avvelenato dentr' al fianco Tal' io con quello ftral dal lato manco SONETTO CLXXV. Si duole della crudeltà di Laura, e dice che nel Mondo non credeva egli, che fi ritrovasse se non una Fenice, e nondimeno non fa per quale augurio, o per qual ordine fatale fia, che egli fia' un altra Fenice in trovare pietà forda, e torni mifero donde doveva tornare felice. Non dall'Ifpano Ibero all' Indo Idaspe Ricercando del mar' ogni pendice, Nè dal lito vermiglio all' onde Cafpe, Tutto'l cor di dolcezza, e d'amor l'empie; *0000000000000000 SONETTO CLXXVI. Racconta quali cofe il ritengano nell' amore di Laura, e quali ve l'abbiano tirato, e quando. Voglia mi fprona: Amor mi guida, e scorge: Piacer mi tira: ufanza mi trafporta: E la man deftra al cor già ftanco porge: Il mifero la prende; e non s'accorge SONETTO CLXXVII. Dice che fono passati venti anni, che egli in vano feguita l'amore di Laura, ed attribuifce di ciò la colpa alla Stella. Beato in fogno, e di languir contento, D'abbracciar l'ombre, e feguir l'aura estiva, Caccio con un bue zoppo, e'nfermo, e lento. |