Per comparazione degli altri animali moftra il fuo ftato effere oltramodo mifero, poichè effi o di dì, o di notte fi ripofano, laddove egli e di di, e di notte travagliava. tempo, accufa la fierezza di Laura. Defidera la piacevolezza, ed ultimamente fe ne defpera.
A qualunque animale alberga in terra;
Se non fe alquanti e hanno in odio il Sole; Tempo da travagliare è quanto è 'l giorno: Ma poi, ch' il ciel accende le fue ftelle, Qual torna a cafa, e qual s' annida in selva Per aver pofa almeno infin' all' alba. Ed io da che comincia la bell' Alba
A fcuoter l'ombra intorno della terra Svegliando gli animali in ogni felva, Non ho mai triegua di fofpir col Sole. Poi, quand' io veggio fiammeggiar le ftelle, Vo lagrimando, e defiando il giorno. Quando la fera fcaccia il chiaro giorno, E le tenebre noftre altrui fann' alba; Miro penfofo le crudeli ftelle,
Che m' hanno fatto di fenfibil terra;
E maledico il dì ch' i' vidi 'l Sole;
Che mi fa in vifta un' uom nudrito in felva.
Non credo che pafceffe mai per selva
Si afpra fera, o di notte, o di giorno; Come coftei, ch' i' piango all' ombra, e al Sole: E non mi ftanca primo fonno, od alba; Che bench' i' fia mortal corpo di terra, Lo mio fermo defir vien dalle ftelle.
Prima ch'i' torni a voi, lucenti ftelle, O: torni giù nell' amorofa felva Laffando il corpo, che fia trita terra; Vedefs' io in lei pietà: ch' in un fol giorno Può ristorar molt' anni, e nnanzi l' alba s Puommi arricchir dal tramontar del Sole.
Con lei fofs' io da che fi parte il Sole; E non ci vedefs' altri che le ftelle, Sol' una notte; e mai non foffe l' alba; E non fi trasformaffe in verde felva Per ufcirmi di braccia, come il giorno, Che Apollo la feguía quaggiù per terra. Ma io farò fotterra in fecca felva,
E'l giorno andrà pien di minute ftelle, Prima ch' a sì dolce alba arrivi il Sole.
La contenenza della Canzone è aperta dalla proposizione dell' Autore nella prima Stanza, che è di narrare lo stato fuo, dacchè Amor gli cominciò a dar battaglia. Il tefto va ordinato così. Canterò, perchè cantando il duol fi difacerba, come viffi in libertade nel dolce tempo &c. mentre Amor nel mio albergo a sdegno s ebbe
Nel dolce tempo della prima etade,
Che nafcer vide, ed ancor quafi in erba La fera yoglia che per mio mal crebbe; Perchè cantando, il duol fi difacerba, Canterò, com' io viffi in libertade,
Mentre Amor nel mio albergo a fdegno s'ebbe: Poi feguirò, ficcome a lui ne 'n crebbe
Troppo altamente; e che di ciò m'avvenne: Di ch' io fon fatto a molta gente esempio: Benchè 'l mio duro fcempio
Sia fcritto altrove sì, che mille penne Ne fon già ftanche; e quafi in ogni valle Rimbombi'l fuon de' miei gravi fofpiri, Ch' acquistan fede alla penofa vita: E fe qui la memoria non m' aita, Come fuol fare; ifcufilla i martiri, Ed un penfier che folo angofcia dálle Tal, ch' ad ogni altro fa voltar le spalle: E mi face obbliar me fteffo a forza:
Che tien di me quel dentro,, ed io la scorza. I' dico, che dal dì che 'l primo affalto Mi diede Amor, molt'anni eran paffati, Sicch' io cangiava il giovenile afpettó: E dintorno al mio cor penfier gelati Fatto avean quafi adamantino fmalto, Ch' allentar non laffava il duro affetto: Lagrima ancor non mi bagnava il petto, Nè rompea il fonno: e quel ch'in me non era, Mi pareva un miracolo in altrui.
Laffo, che fon? che fui?
La vita il fin', e 'l di loda la fera. Che fentendo il crudel di ch' io ragiono, Infin' allor percoffa di fuo ftrale Non effermi paffato oltra la gonna, Prefe in fua fcorta una poffente donna; Ver cui poco giammai mi valfe, o vale Ingegno, o forza, o dimandar perdono. Ei duo mi trasformaro in quel ch' i' fono, Facendomi d' uom vivo un lauro verde;" Che per fredda ftagion foglia non perde.
Qual mi fec' io, quando primier m' accorfi Della trasfigurata mia perfona:
Ei capei vidi far di quella fronde Di che fperato avea già lor corona;
E i piedi, in ch' io mi ftetti, e moffi, e corfi, (Com' ogni membro all' anima risponde) Diventar due radici fovra l' onde,
Non di Penéo, ma d' un più altero fiume; E'n duo rami mutarfi ambe le braccia! Nè meno ancor m' agghiaccia
L'effer coverto poi di bianche piume, Allor che fulminato, e morto giacque Il mio fperar, che troppo alto montava. Che perch' io non fapea dove, nè quando Mel ritrovaffi; folo lagrimando,
Là 've tolto mi fu, dì e notte andava Ricercando dal lato, e dentro all' acque: E giammai poi la mia lingua non tacque, Mentre potéo, del fuo cader maligno: Ond' io prefi col fuon color d' un cigno.
Così lungo l'amate rive andai;
Che volendo parlar cantava fempre Mercè chiamando con eftrania voce: Nè mai in sì dolci, o'n sì foavi tempre Rifonar feppi gli amorofi guai,
Che 'l cor s' umiliaffe afpro e feroce. Qual fu a fentir; che 'l ricordar mi coce? Ma molto più di quel ch' è per innanzi, Della dolce, ed acerba mia nemica E' bifogno ch' io dica;
Benchè fia tal, ch' ogni parlare avanzi. Quefta che col mirar gli animi fura,
M' aperfe il petto, e 'l cor prefe con mano, Dicendo a me: Di ciò non far parola: Poi la rividi in altro abito fola
Tal, ch'i' non la conobbi, (o senso umano!) Anzi le diffi 'l ver pien di paura:
Ed ella nell' ufata fua figura
Tofto tornando, fecemi, oimè laffo, D'un quafi vivo, e sbigottito faffo, Ella parlava si turbata in vifta,
Che tremar mi fea dentro a quella petra Udendo, I' non fon forfe chi tu credi: E dicea meco: Se coftei mi fpetra, Nulla vita mi fia nojofa, o trifta: A farmi lagrimar, fignor mio, riedi. Come, non fo, pur io moffi indi i piedi, Non altrui incolpando, che me fteffo, Mezzo tutto quel dì tra vivo, e morto. Ma perchè 'l tempo è corto, 1
La pena al buon voler non può gir preffo; Onde più cofe nella mente fcritte Vo trapaffando: e fol d' alcune parlo, Che maraviglia fanno a chi l' afcolta. Morte mi s'era intorno al core avvolta, Ne tacendo potea di fua man trarlo, O dar foccorfo alle virtuti afflitte: Le vive voci m' erano interditte:
Ond' io gridai con carta, e con inchiostro, Non fon mio, nò: s'io moro, il danno è vostro. Ben mi credea dinanzi agli occhi fuoi D' indegno far così di mercè degno: E quefta fpeme m' avea fatto ardito. Ma talor' umiltà fpegne difdegno;
« 上一頁繼續 » |