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Per quanto non vorrefte o pofcia, od ante
Effer giunti al cammin che sì mal tienfi;,
Per non trovarvi i duo bei lumi accenfi,
Nè l'orme impreffe dell' amate piante?
Or con sì chiara luce, e con tai fegni
Errar non deffi in quel breve viaggio
Che ne può far d'eterno albergo degni.
Sfórzati al cielo, o mio ftanco coraggio,
Per la nebbia entro de' fuoi dolci fdegni
Seguendo i paffi onefti, e 'l divo raggio.

******

SONETTO CLXXII.

Conforta fe medefimo a chiamarfi appagato d'ogni mal, che abbia patito nell' amor di Laura, per l'onor, che fcrivendo n'ha trat to, in guifa che la fua forte gli farà da' futuri invidiata.

Dolci ire, dolci fdegni, e dolci paci,
Dolce mal, dolce affanno, e dolce pefo,
Dolce parlar', e dolcemente inteso,
Or di dolce óra, or pien di dolci faci.
Alma, non ti lagnar: ma foffri, e taci;
E tempra il dolce amaro che n' ha offefo,
Col dolce onor che d' amar quella hai prefo
A cu' io diffi: Tu fola mi piaci.

Forfe ancor fia chi fofpirando dica

Tinto di dolce invidia; Assai sostenne
Per belliffimo amor queft' al fuo tempo:

Altri; O Fortuna a gli occhi miei nemica!
Perchè non la vid' io? perchè non venne
Ella più tardi, ovver io più per tempo?

CANZONE XIX.

Era ftato detto a Laura che il Petrarca aveva detto d'amare fotta nome di Laura altra Donna, per la quale ella fdegnò. Ora in quefta Canzone, la quale è teffuta alla guifa Provenzale, che in tutte le Stanze fono quelle medefime Rime, tenta di placarla,

S'il diffi mai; ch' i' venga in odio a quella
Del cui amor vivo, e fenza 'l qual morrei:
S'il diffi; ch'i miei dì fian pochi, e rei,
E di vil fignoria l' anima ancella:

S'il diffi; contra me s' arme ogni ftella;
E dal mio lato fia

Paura, e gelofia;

E la nemica mia

Più feroce ver me fempre, e più bella.

S'il diffi; Amor l' aurate fue quadrella
Spenda in me tutte, e l'impiombate in lei:
S'il diffi: cielo, e terra, uomini, e dei
Mi fian contrarj, ed effa ognor più fella:
S'il diffi; chi con fua cieca facella
Dritto a morte m' invia,

Pur come fuol, fi ftia;

Ne mai più dolce, o pia

Ver me fi moftri in atto, od in favella.

S'il diffi mai; di quel ch' i' men vorrei,
Piena trovi queft' afpra, e breve via;
S'il diffi; il fero ardor che mi difvia,
Crefca in me, quanto il fier ghiaccio in coftei.
S'il diffi; unqua non veggian gli occhi miei

Sol chiaro, o fua forella,
Nè donna, nè donzella,
Ma terribil procella,

Qual Faraone in perfeguir gli Ebrei.
S'il diffi; coi fofpir, quant' io mai fei,
Sia pietà per me morta, e cortefia:
S'il diffi; il dir s'innafpri che s'udia
Si dolce allor che vinto mi rendei:
S'il diffi; io fpiaccia a quella ch' i' torrei
Sol chiufo in fosca cella,
Dal dì che la mammella
Lafciai, fin che fi fvella

Da me l'alma, adorar: forfe 'l farei.

Ma s'io nol diffi; chi si dolce apria
Mio cor' a fpeme nell' età novella,
Regga ancor quefta franca navicella
Col governo di fua pietà natia;
Nè diventi altra; ma pur qual folía
Quando più non potei,
Che me fteffo perdei,
Nè più perder devrei,

Mal fa chi tanta fè sì tofto obblia.

Io nol diffi giammai, nè dir poria
Per oro, o per cittadi, o per caftella:
Vinca'l ver dunque, e fi rimanga in fella;
E vinta a terra caggia la bugia.

Tu fai in me il tutto, Amor: s'ella ne fpia,
Dinne quel che dir dei:

I' beato direi

Tre volte, e quattro, e fei

Chi devendo languir, fi morì pria.

Per Rachel' ho fervito, e non per Lia:
Nè con altra faprei
Viver, e fofterrei,

**

Quando'l Ciel ne rappella,

Girmen con ella in ful carro d'Elia.

CANZONE XX.

***

In questa Canzone fi fcufa, perchè fia molefto a Laura involandole gli fguardi e la fcufa è, che egli non vive d'altra cofa, che de'fuoi fguardi, ed ella gliele nega di dare, come faceva prima; e che poca moleftia le dà, essendo ella così ricca. Ma perchè non ne può involar tanti, che fi poffa fatollare, priega Amore che l'uccida.

Ben mi credea paffar mio tempo omai,

Come paffato avea queft' anni addietro,
Senz'altro ftudio, e fenza novi ingegni:
Or; poi che da Madonna i' non impetro
L'ufata aita; a che condotto m' hai,
Tu'l vedi, Amor; che tal' arte m'infegni:
Non fo, s'i' me ne fdegni;

Che'n quefta età mi fai divenir ladro
Del bel lume leggiadro

Senza'l qual non vivrei in tanti affanni:
Così avefs' io i prim' anni

Prefo lo ftil ch'or prender mi bisogna;
Che'n giovenil fallire è men vergogna.
Gli occhi foavi onde io foglio aver vita,
Delle divine lor' alte bellezze

Furmi in ful cominciar tanto cortefi;
Che'n guifa d'uom cui non proprie ricchezze,
Ma celato di for foccorfo aita,

Viffimi: che nè lor, nè altri offefi.

Or;

Or; bench' a me ne pefi;

Divento ingiuriofo, ed importuno:
Che'l poverel digiuno

Vien'ad atto talor ch' in miglior stato
Avria in altrui biafmato.

Se le man di pietà 'nvidia m'ha chiuse;
Fame amorofa, e'l non poter mi scuse.
Ch'io ho cercate già vie più di mille,
Per provar senza lor, fe mortal cofa
Mi poteffe tener in vita un giorno:
L'anima, poi ch'altrove non ha posa,
Corre pur' all' angeliche faville;

Ed io, che fon di cera, al foco torno;
E pongo mente intorno

Ove fi fa men guardia a quel ch'i' bramo;
E come augello in ramo,

Ove men teme, ivi più tofto è colto;
Così dal fuo bel volto

L'involo or'uno, ed or'un altro fguardo;
E di ciò infieme mi nutrico, ed ardo.

Di mia morte mi pafco, e vivo in fiamme;
Stranio cibo, e mirabil falamandra!

Ma miracol non è; da tal fi vole.
Felice agnello alla penofa mandra

Mi giacqui un tempo: or' all' eftremo famme
E Fortuna, ed Amor pur come fole.
Così rofe, e viole

Ha primavera, e'l verno ha neve, e ghiaccio:
Però s'i' mi procaccio

Quinci, e quindi alimenti al viver curto,
Se vol dir che fia furto;

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