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SONETTO CXLIII.

Scrive la ficurtà fua, mentre passà per la Selva d' Ardenna, ed il piacer che ne prende, in quanto gli rappresenta Laura; e dice che in poche Selve fu che tanto gli piaceffero. Solamente egli vi defidera Laura in verità, e non per immaginazione.

Per

er mezz' i bofchi inofpiti, e felvaggi,

Onde vanno a gran rischio uomini, ed arme, ' Vo ficur' io; che non può fpaventarme Altri che 'l Sol c'ha d' Amor vivo i raggi. E vo cantando (o penfer miei non faggi!) Lei che 'l ciel non poria lontana farme; Ch'i' l'ho negli occhi, e veder feco parme Donne, e donzelle; è fono abeti, e faggi. Parmi d'udirla, udendo i rami, e l'óre, E le frondi, e gli augei lagnarfi; e l'acque Mormorando fuggir per l'erba verde. Raro un filenzio, un folitario orrore

D'ombrofa felva mai tanto mi piacque; Se non che del mio Sol troppo fi perde. 0000000000000:0

arme,

SONETTO CXLIV.

Si rallegra d'effere nella Selva'd' Ardenna, luogo pericoloso, senza e folo per defio di Gloria. E' quantunque non avesse avuto paura, mentre fu in cammino, nondimeno giunto a casaj ripenfando al pericolo, dove era ftato, gli nafceva paura la quale gli ceffava per l'afpetto del Paese di Laura.

Mille piagge in un giorno, e mille rivi

Moftrato m'ha per la famofa Ardenna
Amor, ch' a' fuoi le piante, e i cori impenna,
Per farli al terzo ciel volando ir vivi.

Dolce mè fol fenz' arme effer stato ivi

Dove armato fier Marte, e non accenna;
Quafi fenza governo, e senza antenna
Legno in mar, pien di penfier gravi, e schivi.
Pur giunto al fin della giornata oscura,
Rimembrando ond' io vegno, e con quai piume:
Sento di troppo ardir nafcer paura.

Ma'l bel paefe, e'l dilettofo fiume
Con ferena accoglienza raffecura
Il cor già volto ov abita il fuo lume.

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SONETTO CXLV

Pone prima il mal trattamento d' Amore, pofcia come egli fi di fperi: appreffo come Dio gli manda la buona fpirazione; alla quale non acconsente.

、,,!

Amor mi fprona in un tempo, ed affrena;
Affecura, e spaventa; arde, ed agghiaccia;
Gradifce, e fdegna; a se mi chiama, e scaccia:
Or mi tene in fperanza, ed or' in pena.
Or' alto, or baffo il mio cor laffo mena,
Onde 'l vago defir perde la traccia;
El fuo fommo piacer par che li fpiaccia;
D' error si novo la mia mente è piena.
Un' amico penfier le mostra il vado,
Non d' acqua che per gli occhi fi rifolva,
Da gir tofto ove fpera effer contenta:
Poi; quafi maggior forza indi la svolva; s'
Conven ch' altra via fegua, e mal fuo grado
Alla fua lunga, e mia morte confenta,

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SONETTO CXLVI.

Aveva fcritto Geri Gianfigliacci al Petrarca un Sonetto, nel quale gli domandava, che cofa debba fare perfona innamorata, quans do la Donna fua gli fi mostra turbata, e fe egli configliasse che fi doveffe lafciare la 'mprefa. Rifponde il Petrarca che egli con la fua, che parimente fi moftra turbata, fuole andare per via d' umiltà, e così lo configlia a fare, che in noftro podere non è il lafciare le 'mprese amorofe..

J

Geri, quando talor meco s'adira

La mia dolce nemica, ch'è sì altera,
Un conforto m' è dato, ch' i' non pera,
Solo per cui vertù l'alma refpira;

Ovunqu' ella fdegnando gli occhi gira,
Che di luce privar mia vita fpera;
Le moftro i miei pien' d' umiltà sì vera,
Ch'a forza ogni fuo fdegno indietro tira.
Se ciò non foffe, andrei non altramente
A veder lei, che 'l volto di Medusa;
Che facea marmo diventar la gente.
Così dunque fa tu; ch'i'veggo esclusa
Ogni altr' aita: e 'l fuggir val niente
Dinanzi all' ali che 'l Signor noftro ufa,

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SONETTO CXLVII.

Veniva il Petrarca verfo Lombardia per Pò. Or dice rivolgendo il parlare al Pò, che quantunque ne meni il corpo fuo, l'animo però vola a Laura."

"

Pò, ben puo' tu portartene la fcorza

Di me con tue poffenti, e rapid' onde: Ma lo fpirto, ch iv' entro fi nafconde, Non cura ne di tua, nè d' altrui forza: Lo qual fenza alternar poggia con orza Dritto per l''aure al fuo defir feconde Battendo l' ali verfo l'aurea fronde,

L'acqua, e 'l vento, è la vela, e i remi sforza. Re degli altri, fuperbo, altero fiume;

Che 'ncontri 'l Sol, quando e' ne mena il giorno,
E'n Ponente abbandoni un più bel lume;

Tu te ne vai col mio mortal ful corno;
L'altro coverto d'amorofe piume
Torna volando al fuo dolce foggiorno.

SONETTO CXLVIII.

Il Petrarca in quefto Sonetto fcrive un uccellamento. Gli Uccellatori fono Amor che tende la rète, è Laura che tiene con la mano la fune della rete. Lefca fono le dolcezze promesse nell' amore di Laura. Il canto fono le parole di Laura. Petrarca è l'uccello, Il luogo è fotto un ramo d' Alloro fra l' erbe.

Amor

mor fra l'erbe una leggiadra rete
D'oro, e di perle tefe fott' un ramo
Dell' arbor fempre verde ch' i' tant' amo;
Benchè n' abbia ombre più trifte, che liete:

Π

L'efca fu'l feme ch' egli fparge, e miete
Dolce, ed acerbo, ch' io pavento, e bramo:
Le note non fur mai dal dì ch' Adamo
Aperse gli occhi, sì foavi, e quete:

E' chiaro lume che fparir fa 'l Sole,
Folgorava d' intorno; el fune avvolto,
Era alla man ch' avorio, e neve avanza:
Così caddi alla rete; e qui m'han colto
Gli atti vaghi, e l' angeliche parole,
E'l piacer', el defire e la fperanza, I

SONETTO CXLIX.

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Amor, che 'ncende 'l cor d' ardente zelo,
Di gelata paura il tien coffretto;

E qual fia più, fa dubbio all' intelletto,

La fperanza, o 'l timor, la fiamma, o 'I gielo.

C

Trem' al più caldo, ard' al più freddo cielo,
Sempre pien di defire, e di fofpetto;
Pur come donna in un veftire schietto
Celi un' uom vivo, o fotť un picciol velo.

Di queste pene è mia propria la prima

Arder di, e notte; e quanto è 'l dolce male,
Nè 'n penfier cape, non che 'n verfi, o'n rima!

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L'altra non già; che 'l mio bel foco è tale,
Ch' ogni uom pareggia; e del fuo lume in cima
Chi volar penfa, indarno fpiega l' ale,

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