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SONETTO CXXXVI.

Stimolato da defiderio di vedere Laura la va a trovare, e nella prima giunta, per turbata vifta che gli moftra, reme: poscià, veggendola rafferenare, fi delibera di palefarle i fuoi affanni, ma per la troppa copia non fa donde cominciare.

Pien d'un vago penfier, che mi desvia

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Da tutti gli altri, è fammi al mondo ir folo,
Ad or ad or a me steffo m' involo
Pur lei cercando, che fuggir devria;

E veggiola paffar sì dolce, e ria,

Che l'alma trema per levarfi a volo;
Tal d'armati fofpir conduce ftuolog san
Quefta bella d' Amor nemica, e mia.
Ben, s'io non erro, di pietate un raggio
Scorgo fra 'l nubilofo altero ciglio;
Che'n parte rafferena il cor dogliofo;
Allor raccolgo l'alma; e poi ch'i' aggio.
Di fcovrirle il mio mal prefo configlio,
Tanto le ho a dir, che incominciar non ofo.

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SONETTO CXXXVII.

Più volte aveva deliberato di raccontare i fuoi affanni a Laura, poi venutole in presenza, infiammato dalla luce degli occhi di Laura, non aveva potuto dir parola. Or dice che questo gli avviene per troppo amore.

Più
iù volte già dal bel fembiante umano
Ho prefo ardir con le mie fide scorte
D'affalir con parole oneste accorte
La mia nemica in atto umile, e piano:

Fanno poi gli occhi fuoi mio penfier vano;
Perch' ogni mia fortuna, ogni mia forte,

Mio ben, mio male, e mia vita, e mia morte Quei che folo il può far, l' ha pofto in mano. Ond' io non pote' mai formar parola

Ch' altro che da me fteffo fofse intefa;
Così m'ha fatto Amor tremante, e fioco,

E veggi' or ben, che caritate accefa

Lega la lingua altrui, gli fpirti invola,
Chi può dir com' egli arde, è 'n picciol foco.

SONETTO CXXXVIII.

Amore l' ha dato in forza di Donna, alla quale nulla giova il porger prieghi, anzi nuoce, nondimeno fempre vuole fperare.

Giunto m' ha Amor fra belle, e crude braccia,

Che m' ancidono a torto; e s' io mi doglio, Doppia 'l martir': onde pur, com' io foglio, Il meglio è ch' io mi mora amando, e taccia: Che poria questa il Ren, qualor più agghiaccia, Arder con gli occhi, e romper ogni afpro fcoglio; Ed ha si egual' alle bellezze orgoglio,

Che di piacer altrui par che le spiaccia.
Nulla poffo levar io per mio 'ngegno

Del bel diamante ond' ell' ha il cor sì duro;
L'altro è d'un marmo che fi mova, e spiri:
Ned * ella a me per tutto 'l fuo difdegno,
Torrà giammai, nè per fembiante ofcuro,
Le mie fperanze, è i miei dolci fofpiri

* Per Nè.

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SONETTO CXXXIX.

Prima fi duole della 'nvidia che fia entrata nel petto di Laura in guifa, che più nol voglia ascoltare: nondimeno le afferma che per tutti gli fdegni fuoi non è per lasciar d'amarla, e di sperare.

invidia, nemica di virtute;

Ch' a' bei principii volentier contrasti ;
Per qual fentier così tacita intrasti

In quel bel petto, e con qual' arti il mute?

Da`radice n'hai svelta mia falute:

Troppo felice amante mi mostrasti

A quella che miei preghi umili, e casti
Gradi alcun tempo, or par ch' odj, e refute.

Nè però che con atti acerbi, e rei

Del mio ben pianga, e del mio pianger rida;
Poria cangiar fol' un de' penfier miei:

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Non perchè mille volte il dì m' ancida,

Fia ch' io non l' ami, e ch' i' non fperi in lei:
Che s'ella mi spaventa, Amor m' affida.

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SONETTO CXL.

Narra quello che gli avviene, quando vede gli occhi di Laura.

Mirando

Lirando 'l Sol de' begli occhi fereno,

Ov'è chi fpeffo i mei dipinge, e bagna;
Dal cor l'anima ftanca fi fcompagna,

Per gir nel paradifo fuo terreno:

Poi trovandol di dolce, e d' amat pieno, 1
Quanto al mondo fi teffe, opra d'aragna
Vede: onde feco, e con Amor fi lagna, I
C'ha sì caldi gli spron, sì duro il freno.

Per questi estremi duo contrarj, e misti,
Or con voglie gelate, or con accese
Staffi così fra mifera, e felice:

Ma pochi lieti, e molti penfier trifti;
E'l più fi pente dell' ardite imprefe:
Tal frutto nafce di cotal radice.

SONETTO CXLI. I 5.1.

Si duole del deftino fotto cui nacque; della cuna dove giacque; della terra, per la quale la prima volta comminò;, di Laura, e d' Amore, benchè più di Laura, che d' Amore, per gli affanni che fopporta nell' amore di lei. Alla fine fi confola, perchè gli affanni tollerati per Laura fono più dolci, che non fono le gioje avute dall' altre.iso S • }

Fe

F

'era ftella (fe 1 cielo ha forza in noi, lo? 1.9
Quant' alcun crede) fu, fotto ch' io nadqui;
E fera cuna, dove nato giacqui;

E fera terra, ov' e piè moffi poi;

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E fera donna, che con gli occhi fuoi,

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A

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E con l'arco a cui fol per fegno piacqui, T
Fè la piaga ond', Amor, teco non tacqui;
Che con quell' arme rifaldarla puoi.

Ma tu prendi a diletto i dolor miei:
Ella non già; perchè non fon più duri,
El colpo è di faetta, e non di fpiedo.

Pur mi confola, che languir per lei
Meglio è che gioir d'altra; e tu mel giuri
Per l'orato tuo ftrale; ed io teb credo,

..2...t.

SONETTO CXLII.

Quando fi ricorda del Tempo, del Luogo, e di Laura allorachè fe n'innamoro, di nuovo s'innamora, contuttochè Laura fia al prefente attempata.

Qua

uando mi vene innanzi il tempo, e'l loco

Ov' io perdei me fteffo; e 'l caro nodo

Ond' Amor di fua man m'avvinfe in modo,
Che l'amar' mi fè dolce, e 'l pianger gioco;

Solfo, ed esca fon tutto, e 'l cor' un foco,
Da quei foavi fpirti i quai fempr' odo,
Accefo dentro sì, ch' ardendo godo,
E di ciò vivo; e d'altro mi cal poco.
Quel Sol che folo a gli occhi miei rifplende,
Coi vaghi raggi ancor' indi mi scalda
A vefpro tal, qual' era oggi per tempo:
E così di lontan m'alluma, e'ncende,

Che la memoria ad ognor fresca, e falda
Pur quel nodo mi moftra, e'l loco, e 'l tempo.

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