SONETTO Cxxxin. Là dov' Apollo diventò profeta; Non pur" Verona, e Mantoa, é Arunca: Dell' umor di quel falso; altro pianeta Lappole, e stecchi con la falce adunca, che di Parnaso fi deriva: D'ogni buon frutto, se l'eterno Giove අමාරී SONETTO CXXXIV. uando Amor' i begli occhi a terra inchina; Chiara, soave, angelica, divina; E sì dentro cangiar pensieri, e voglie, Ma,'1 fuon che di dolcezza i senfi lega, Col gran defir d' udendo esser beata L'anima al dipartir prefta raffrena, Lo stame della vita che m' è data, 2 SO NETTO CXXXV. Nasceva nel Petrarca un Pensiero per segni veduti in Laura, che ella lo doveste ascoltare, come egli per premio dell' amor fuo sperava. Poscia, essendo tante volte itato ingannato gran fede non prestava a tale speranza. Amor mor mi manda quel dolce pensiero Mai, com' or, presto a quel ch' i' bramo, e fpero. Io, che talor menzogna, e talor vero Ho ritrovato le parole fue; Nè si, nè nò nel cor mi fona intero. Mi veggio andar ver la stagion contraria A sua impromessa, ed alla mia speranza. Già per etate il mio defir non varia: SONETTO CXXX VI. Stimolato da desiderio di vedere Laura la va a trovare, e nella prima giunta, per turbata vista che gli moftra,, reme: posčia, veggendola raserenare, si delibera di palesarle i suoi affanni, ma per la troppa copia non fa donde cominciare. Pie ien d'un vago pensier, che mi desvia ** Da tutti gli altri, e fammi al mondo ir solo, Ad or' ad or'a me stesso m' involo Pur lei cercando, che fuggir devria; Che l' alma trema per levarsi a volo; Questa bella d'Amor nemica, e mia. Scorgo fra 'l nubiloso altero ciglio; Di scovrirle il mio mal preso consiglio, ******* ** SONETTO CXXXVII. : Più volte aveva deliberato di raccontare i fuoi affanni a Laura, poi venutole in presenza, infiammato dalla luce degli occhi di Laura, non aveva potuto dir parola. Or dice che questo gli ar• viene per troppo amore. 'T Fanno poi gli occhi fuoi mio pensier vano; Perch' ogni mia fortuna, ogni mia forte, Quei che solo il può far, l' ha posto in mano. Ond' io non pote' mai formar parola Ch' altro che da me stesso fosse intesa; Così m'ha fatto Amor tremante, e fioco, Lega la lingua altrui, gli spirti invola. SONETTO CXXXVIII. Amore l' ha dato in forza di Donna, alla quale nulla giova il por ger prieghi, anzi nuoce, nondimeno sempre vuole sperare. Giunto m' ha Amor fra belle, e crude braccia, Che m'ancidono a torto; e s' io mi doglio, Il meglio è ch' io mi mora amando, e taccia: Che poria questa il Ren, qualor più agghiaccia, Arder con gli occhi, e romper ogni afpro scoglio; Che di piacer altrui par che le spiaccia. Del bel diamante ond' ell' ha il cor si duro; L'altro è d'un marmo che si mova, e spiri: , nè per sembiante oscuro, Le mie fperanze, e i miei dolci fofpiri. * Per Ne, Prima fi duole della ’nvidia che sia entrata nel petto di Laura in guisa, che più nol voglia ascoltare: nondimeno le afferma che per tutti gli sdegni suoi non è per lasciar d'amarla, e di sperare, inividia, nemica di virtute; In quel bel petto, e con qual' arti il mute? Troppo felice amante mi moftrasti Gradi alcun tempo, or par ch' odj, e refute. Del mio ben pianga, e del mio pianger rida; Poria cangiar fol' un de' pensier miei: Fia ch' io non l' ami, e ch' i' non fperi in lei: : SONETTO CXL. Ov'è chi spesso i mei dipinge, e bagna; |