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Poi che portar nol poffo in tutte quattro
Parti del mondo; udrallo il bel paese

Ch' Apennin parte, e 'l Mar circonda, e l'Alpe.

SONETTO CXV.

Racconta quello che gli avviene, quando va a vedere Laura contra volontà di essa Laura, che per lo più lo spaventa con vista orribile: ma nondimeno ancora alcuna volta, mossa a compaffione, con lieta vifta lo confola.

uando 'I voler che con duo fproni ardenti,
E con un duro fren mi mena, e regge,
Trapaffa ad or' ad or l'ufata legge
Per far in parte i miei fpirti contenti;
Trova chi le paure, e gli ardimenti
Del cor profondo nella fronte legge;
E vede Amor, che fue imprese corregge,
Folgorar ne' turbati occhi pungenti:

Onde, come colui che 'l colpo teme

Di Giove irato; fi ritragge indietro;
Che gran temenza gran defire affrena:

Ma freddo foco, e paventofa fpeme

Dell' alma, che traluce come un vetro,
Talor fua dolce vifta rafferena.

SONETTO CXV I.

Commendazione del luogo di Valchiufa, dove appreffo il Fonte aveva piantato un Lauro.

Non Tefin, Pò, Varo, Arno, Adige, e Tebro, Eufrate, Tigre, Nilo, Ermo, Indo, e Gange, Tana, Iftro, Alfeo, Garonna, e' l mar che frange, Rodano, Ibero, Ren, Senna, Albia, Era, Ebro; Non edra, abete, pin, faggio, o ginebro

Poria 'l foco allentar che 'l cor trifto ange; Quant' un bel rio ch' ad ogni or meco piange, Con l'arbofcel che 'n rime orno, e celebro. Queft' un foccorfo trovo tra gli affalti D'Amore, onde conven ch' armato viva La vita che trapassa a sì gran falti.

Così crefca 'l bel Lauro in fresca riva;

E chi'l piantò, penfier leggiadri, ed alti
Nella dolce ombra al fuon dell' acque fcriva.

BALLATA X.

Dopo la dimostrazione della piacevolezza di Laura domanda perchè fofpiri, fe i folpiri nafcevano dail' afprezza di Laura. Rifponde che vero è che Laura è più piacevole, ma che i fofpiri nafcono ora dal difio che crefce quanto più crefce la fperanza nutrita dalla piacevolezza.

Di

tempo in tempo mi fi fa men dura
L'angelica figura, e'l dolce rifo;
E l'aria del bel vifo,

E degli occhi leggiadri meno ofcura.

Che fanno meco omai quefti fofpiri,
Che nafcean di dolore,

E moftravan di fore

La mia angofciofa, e difperata vita?
S'avven che'l volto in quella parte giri,
Per acquetar il core;

Parmi veder Amore

Mantener mia ragion', e darmi aita:
Nè però trovo ancor guerra finita,
Nè tranquillo ogni ftato del cor mio:
Che più m' arde 'l defio,

Quanto più la fperanza m' afficura.

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Ragiona il Petrarca con l'Anima fua, e la domanda, ficcome quella che è divina, che gli 'ndovini se debba mai avere pace, a tregua, o púr fempiterna guerra. L' Anima difende Laura, ed il Petrarca l'accufa, e conchiude che non ifpera mai d'avere pace.

Che fai, alma? che penfi? avrem mai pace?

Ayrem mai tregua? od avrem guerra eterna? Che fia di noi, non fo: ma in quel ch'io fcerna, A' fuoi begli occhi il mal noftro non piace. Che prò; fe con quegli occhi ella ne face

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Di ftaté un ghiaccio, un foco quando verna?
Ella non; ma colui che gli governa.

Quefto ch'è a noi; s'ella fel vede, e tace?

Talor tace la lingua; e'l cor fi lagna
Ad alta voce, e'n vista asciutta, e lieta
Piagne dove mirando altri nol vede,

Per tutto ciò la mente non s' acqueta,

Rompendo 'I duol che 'n lei s'accoglie, e stagna:
Ch' a gran fperanza uom mifero non crede.

SONETTO CXVIII.

Commendazione degli occhi di Laura, da' quali è rafferenato d'ogni affanno. Defcrive la forma d' Amore negli occhi, e dice quello che infegna a lui.

Non d'atra, e tempestosa onda marina

Fuggio in porto giammai ftanco nocchiero;
Com' io dal fofco e torbido pentiero
Fuggo, ove 'l gran defio mi fprona, e 'nchina:

Nè mortal vifta mai luce divina

Vinfe; come la mia quel raggio altero
Del bel dolce foave bianco e nero,
In che i fuoi ftrali Amor dora, ed affina.

Cieco non già, ma faretrato il veggo;

Nudo, fe non quanto vergogna il vela;
Garzon con l'ali, non pinto, ma vivo.

Indi mi moftra quel ch'a molti cela:

Ch' a parte a parte entr' a' begli occhi leggo
Quant' io parlo d' Amore, e quant' io scrivo.

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SONETTO CXIX.

Vuole inducere Laura o a liberarlo dal fuo amore, o a trattarlo bene: cioè o a sempre mostrargli vifta fiera, o lieta; col minacciarla che, tenendolo più in biftento, egli s'ucciderà.

uefta umil fera, un cor di tigre, o d'orfa; Che 'n vifta umana, e'n forma d' angel vene; In rifo, e'n pianto, fra paura, e fpene Mi rota sì, ch'ogni mio ftato inforfa. Se'n breve non m' accoglie, o non mi fmorfa, Ma pur, come fuol far, tra due mi tene; Per quel ch'io fento al cor gir fra le vene Dolce veneno, Amor, mia vita è corfa. Non può più la vertù fragile, e ftanca Tante varietati omai foffrire:

Che 'n un punto arde, agghiaccia, arroffa, e 'mbianca. Fuggendo fpera i fuoi dolor finire;

***

Come colei che d'ora in ora manca:
Che ben può nulla chi non può morire.

****

SONETTO CXX.

***

Deliberazione di raccontare lo ftato fuo a Laura ancora una volta, dopo il qual raccontamento o troverà pietà, o s'ucciderà. Nondimeno fpera per alcuni segnali bene.

Xte, caldi fofpiri, al freddo core:

Rompete il ghiaccio che pietà contende;.
E, fe prego mortale al ciel s' intende,
Morte, o mercè fia fine al mio dolore,

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