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SONETTO XV.

Quando piange, fi rivolge a Laura, ed è confolato: ma parten doli ella, di nuovo s' attrifta, laonde l'Anima la fegue.

Piovommi amare lagrime dal viso

Con un vento angofciofo di fofpiri,
Quando in voi adivien che gli occhi giri,
Per cui fola dal mondo i fon divifo.

Vero è, che 'l dolce manfueto rifo
Pur' acqueta gli ardenti miei defiri,
E mi fottragge al foco de' martiri,
Mentr' io fon' a mirarvi intento, e fifo:

Na gli spiriti miei s' agghiaccian poi,
Ch'i' veggio al dipartir, gli atti foavi
Torcer da me le mie fatali ftelle.

Largata al fin con l'amorofe chiavi
L'anima efce del cor, per feguir voi;
E con molto penfiero indi fi fvelle.

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SONETTO XVI.

Dalle varie maniere di confiderar Laura nafcono varj effetti. Confiderava dunque alcuna volta la fua bellezza, per la quale, quanto più la vedeva, tanto più s' innamorava: e di quefta confiderazione parla in quefto Sonetto. Ma egli, veggendofi ogn' ora più innamorare, fi metteva a fuggire, per ceffar l'amore; ma indarno per lo defio che non l'abbandonava,

Qu

uand' io fon tuttovolto in quella parte

Ove 'l bel vifo di Madonna luce;

E m' è rimasa nel penfier la luce

Che m'arde, e ftrugge dentro a parte a parte;

I', che 'temo del cor, che mi fi parte,
E veggio preffo il fin della mia luce;
Vommene in guifa d'orbo fenza luce,
Che non fa ove fi vada, e pur fi parte,
Così davanti ai colpi della Morte

Fuggo; ma non sì ratto, che '1 defio
Meco non venga, come venir fole.

Tacito vo; che le parole morte

Farian pianger la gente: ed i' defio,
Che le lagrime mie fi fpargan fole.

SONETTO

SONETTO XVII.

Divide gli animali che volano in tre schiere. Alcuni foftengono la luce del Sole, come l'Aquila; altri nò, come i Gufi; ed altri volano nel fuoco, e ardono, come la Farfalla. Dice d'effere fimile alla Farfalla, perchè non è potente a refiftere agli occhi di Laura, cioè che non fia vinto da Amore, veggendola; nè fi può fcoftar da lei, che il defi. derio, che ha di rivederla, ve lo conduce.

Son' animali al mondo di sì altera

Vista, che 'ncontr' al Sol pur fi difende:
Altri, però che 'l gran lume gli offende,
Non efcon fuor fe non verfo la fera:

Ed altri col defio folle; che fpera

Gioir forfe nel foco, perchè fplende;
Provan l'altra virtù, quella che 'ncende.
Laffo, il mio loco è 'n quefta ultima fchiera;

Ch'i'non fon forte ad afpettar la luce

Di questa Donna, e non fo fare schermi
Di luoghi tenebrofi, o d'ore tarde,

Però con gli occhi lagrimofi, e 'nfermi
Mio deftino a vederla mi conduce:

E fo ben, ch' io vo dietro a quel che m' arde,

SONETTO XVII I.

Si fcufa, che infino a qui non lodi Laura.

ergognando talor, ch' ancor fi taccia,
Donna, per me vostra bellezza in rima,
Ricorro al tempo, ch' i' vi vidi prima,
Tal che null' altra fia mai che mi piaccia,

Ma trovo peso non dalle mie braccia,
Nè ovra da polir con la mia lima:
Però l'ingegno, che fua forza eftima,
Nell' operazion tutto s' agghiaccia.

Più volte già per dir le labbra aperfi:
Poi rimafe la voce in mezzo 'l petto.
Ma qual fuon poria mai falir tant' alto?
Più volte incominciai di fcriver verfi:

Ma la penna, e la mano, e l' intelletto
Rimafer vinti nel primier' affalto.

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Vuole far nafcere di fe compaffione in Laura in dimostrando quello che fia per divenire del fuo cuore. La contenenza di questo Sonetto è tratta dalla Filofofia Platonica. L'Aman te, col penfamento che è l'operazione dell' anima, vive nella cofa amata, e non in fe. Me fe la perfona amata Podia, non vivendo in lei, poichè lo fcaccia, nè fuori della spezie dell' uomo potendo vivere Anima umana, non vo lendo vivere l' Amante in altra perfona, che nell' Amata, fi

muore.

Mille

Lille fiate, o dolce mia guerrera,

Per aver co' begli occhi voftri pace,
V'aggio profferto il cor; m' a voi non piace
Mirar sì baffo con la mente altera:

E fe di lui fors' altra donna fpera:
Vive in fperanza debile, e fallace:
Mio; perchè fdegno ciò ch'a voi difpiace;
Effer non può giammai così, com' era,

Or s' io lo fcaccio, ed e' non trova in voi
Nell' efilio infelice alcun foccorfo,
Nè fa ftar fol, nè gite ov' altr' il chiama;

Poria fmarrire il fuo natural corso;
Ghe grave colpa fia d'ambeduo noi,
E tanto più di voi, quanto più v'ama.

T

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