網頁圖片
PDF
ePub 版

Poi che la difpietata mia ventura

M' ha dilungato dal maggior mio bene,
Nojofa, ineforabile, e fuperba;

Amor col rimembrar fol mi mantene:
Onde, s' io veggio in giovenil figura
Incominciarfi 'l mondo a veftir d' erba;
Parmi veder in quella etade acerba
La bella giovinetta ch' ora è donna:
Poi che formonta rifcaldando il Sole;
Parmi, qual' effer fole

Fiamma d'amor, che 'n cor' alto s' indonna;
Ma quando il di fi dole

Di lui, che paffo paffo addietro torni;
Veggio lei giunta a' fuoi perfetti giorni.
In ramo fronde, ovver viole in terra

Mirando alla ftagion che 'I freddo perde,
E le ftelle migliori acquistan forza; o
Negli occhi ho pur le violette, e 'l verde
Di ch'era nel principio di mia guerra
Amor' armato sì, ch' ancor mi sforza;
E quella dolce leggiadretta fcorza
Che ricopría le pargolette membra
Dov' oggi alberga l'anima gentile
Ch'ogni altro piacer, vile

Sembrar mi fa; si forte mi rimembra

Del portamento umíle

Ch'allor fioriva, e poi crebbe anzi agli anni;

Cagion fola, e ripofo de' mie' affanni.

Qualor tenera neve per li colli

"

Dal Sol percoffa veggio di lontano;
Come 'l Sol neve, mi governa Amore,
Penfando nel bel vifo più che umano,

Che può da lunge gli occhi miei far molli,
Ma da preffo gli abbaglia, e vince il core;
Ove fra 'l bianco, e l'aureo colore
Sempre fi mostra quel che mai non vide
Occhio mortal, ch' io creda, altro che'l mio:
E del caldo defio;

Ch'è quando i' fofpirando ella forride;
M'infiamma sì, che obblio

Niente apprezza, ma diventa eterno;
Nè ftate il cangia, nè lo fpegne il verno.
Non vidi mai dopo notturna pioggia
Gir per l'aere fereno ftelle erranti,
E fiammeggiar fra la rugiada, e 'l gielo;
Ch'i' non aveffi i begli occhi davanti
Ove la flanca mia vita s' appoggia;
Qual' io gli vidi all'ombra d'un bel velo:
E ficcome di lor bellezze il cielo
Splendea quel dì, così bagnati ancora
Li veggio sfavillar; ond' io fempr' ardo.
Se'l Sol levarfi fguardo;-

Sento il lume apparir che m' innamora:
Se tramontarfi al tardo;

Parmel veder quando fi volge altrove,
Laffando tenebrofo onde fi move.

Se mai candide rofe con vermiglie
In vafel d'oro vider gli occhi miei,
Allor' allor da vergine man colte;
Veder penfaro il vifo di colei
Ch' avanza tutte l' altre maraviglie
Con tre belle eccellenzie in lui raccolte;
Le bionde treccie fopra 1 collo fciolte,
Ov' ogni latte perderia fua prova;

E le guancie ch' adorna un dolce foco.
Ma pur che l'ora un poco

Fior bianchi, e gialli per le piaggie mova;
Torna alla mente il loco,

E'l primo dì ch'i' vidi a Laura fparfi
I capei d'oro; ond' io sì fubit' arfi.
Ad una ad una annoverar le ftelle,

E 'n picciol vetro chiuder tutte l'acque
Forfe credea; quando in sì poca carta
Novo penfier di ricontar mi nacque,
In quante parti il fior dell' altre belle
Stando in sè fteffa, ha la fua luce fparta;
Acciò che mai da lei non mi diparta:
Ne farò io: e fe pur talor fuggo;

In cielo, e'n terra m' ha racchiusi i paffi:
Perchè a gli occhi miei laffi

Sempre è prefente: ond' io tutto mi struggo:
E così meco ftaffi,

Ch'altra non veggio mai, nè veder bramo, Nè 'l nome d' altra ne' fofpir miei chiamo. Ben fai, Canzon, che quant' io parlo, è nulla Al celato amorofo mio penfero;

Che dì, e notte nella mente porto;
Solo per cui conforto

In così lunga guerra anco non pero:
Che ben m'avria già morto

La lontananza del mio cor piangendo;
Ma quinci dalla morte indugio prendo,

CANZONE XVI.

A bene intendere quefta Canzone è da fapere che Lodovico Bavero col Duca di Chiarentana fi trovò a un parlamento in Trento. Nel quale parlamento il Bavero giurò di paffare in Italia, e di venire a Roma, ed i Signori, ed Ambafciatori gli promifono di dare 150 mila fiorini d'oro, come foffe in Melano, perchè temevano della venuta del Duca di Calauria in Firenze. Il quale fubito fatto ciò, fi partì di Trento, e venne a Melano a' di 25. d'Aprile 1327. effendo il Bavero in Melano, e volendo moneta, come impromeffo gli fu al parlamento di Trento, Galeazzo Visconti Signore di Melano gli fece certa fuperba rifpofta. Onde il Bavero fece parlare a tutti i Coneftabili Tedeschi che erano con M. Galeazzo, e giurare fecretamente a lui. Poi ragunò fuo configlio, dove fece prendere M. Galeazzo, fuo figliuolo, e fuoi fratelli, e il popolo di Melano diede cinquanta mila fiorini d'oro al Bavero. Mentre adunque il Bavero dimorava in Melano ragunando moneta, par che il Petrarea faceffe quefta Canzone, e fu l'anno, che egli s'innamorò; nella quale fconforta i Principi Italiani da questa Lega.

talia mia; benchè I parlar fia indarno
Alle piaghe mortali

Che nel bel corpo tuo sì fpeffe veggio;
Piacemi almen, ch' i miei fofpir fien, quali
Spera 'l Tevero, e l'Arno,

E'l Pò, dove dogliofo, e grave or feggio.
Rettor del ciel', io cheggio,

Che la pietà che ti conduffe in terra,
Ti volga al tuo diletto almo paese.
Vedi, Signor cortese,

Di che lievi cagion che crudel guerra:
E i cor che 'ndura, e ferra

Marte fuperbo, e fero,

Apri tu, Padre, e 'ntenerifci, e fnoda:
Ivi fa che 'l tuo vero

(Qual' io mi fia) per la mia lingua s'oda.

Voi cui Fortuna ha pofto in mano il freno
Delle belle contrade;

Di che nulla pietà par che vi ftringa;
Che fan qui tante pellegrine fpade?
Perchè 'l verde terreno

Del barbarico fangue fi dipinga?
Vano error vi lufinga:

Poco vedete; e parvi veder molto:
Che'n cor venale amor cercate, o fede.
Qual più gente poffede,

Colui è più da' fuoi nemici avvolto.
O diluvio raccolto

Di che deferti ftrani

Per innondar i noftri dolci campi!
Se dalle proprie mani

Questo n' avven', or chi fia che ne fcampi?

Ben provvide Natura al noftro ftato

Quando dell' Alpi fchermo

Pofe fra noi, e la Tedesca rabbia.

Ma 'l defir cieco, e'ncontra 'l fuo ben fermo
S'è poi tanto ingegnato,

Ch' al corpo fano ha procurato fcabbia.

Or dentro ad una gabbia

Fere felvagge, e manfuete gregge

S' annidan sì, che fempre il miglior geme:

Ed è quefto del feme,

Per più dolor, del popol fenza legge,

Al qual, come fi legge,

Mario aperfe sì'l fianco,

Che memoria dell' opra anco non langue;

Quando affetato, e ftanco

Non più bevve del fiume acqua, che fangue.

Cefare

« 上一頁繼續 »