Poi che la difpietata mia ventura M' ha dilungato dal maggior mio bene, Amor col rimembrar fol mi mantene: Fiamma d'amor, che 'n cor' alto s' indonna; Di lui, che paffo paffo addietro torni; Mirando alla ftagion che 'I freddo perde, Sembrar mi fa; si forte mi rimembra Del portamento umíle Ch'allor fioriva, e poi crebbe anzi agli anni; Cagion fola, e ripofo de' mie' affanni. Qualor tenera neve per li colli " Dal Sol percoffa veggio di lontano; Che può da lunge gli occhi miei far molli, Ch'è quando i' fofpirando ella forride; Niente apprezza, ma diventa eterno; Sento il lume apparir che m' innamora: Parmel veder quando fi volge altrove, Se mai candide rofe con vermiglie E le guancie ch' adorna un dolce foco. Fior bianchi, e gialli per le piaggie mova; E'l primo dì ch'i' vidi a Laura fparfi E 'n picciol vetro chiuder tutte l'acque In cielo, e'n terra m' ha racchiusi i paffi: Sempre è prefente: ond' io tutto mi struggo: Ch'altra non veggio mai, nè veder bramo, Nè 'l nome d' altra ne' fofpir miei chiamo. Ben fai, Canzon, che quant' io parlo, è nulla Al celato amorofo mio penfero; Che dì, e notte nella mente porto; In così lunga guerra anco non pero: La lontananza del mio cor piangendo; CANZONE XVI. A bene intendere quefta Canzone è da fapere che Lodovico Bavero col Duca di Chiarentana fi trovò a un parlamento in Trento. Nel quale parlamento il Bavero giurò di paffare in Italia, e di venire a Roma, ed i Signori, ed Ambafciatori gli promifono di dare 150 mila fiorini d'oro, come foffe in Melano, perchè temevano della venuta del Duca di Calauria in Firenze. Il quale fubito fatto ciò, fi partì di Trento, e venne a Melano a' di 25. d'Aprile 1327. effendo il Bavero in Melano, e volendo moneta, come impromeffo gli fu al parlamento di Trento, Galeazzo Visconti Signore di Melano gli fece certa fuperba rifpofta. Onde il Bavero fece parlare a tutti i Coneftabili Tedeschi che erano con M. Galeazzo, e giurare fecretamente a lui. Poi ragunò fuo configlio, dove fece prendere M. Galeazzo, fuo figliuolo, e fuoi fratelli, e il popolo di Melano diede cinquanta mila fiorini d'oro al Bavero. Mentre adunque il Bavero dimorava in Melano ragunando moneta, par che il Petrarea faceffe quefta Canzone, e fu l'anno, che egli s'innamorò; nella quale fconforta i Principi Italiani da questa Lega. talia mia; benchè I parlar fia indarno Che nel bel corpo tuo sì fpeffe veggio; E'l Pò, dove dogliofo, e grave or feggio. Che la pietà che ti conduffe in terra, Di che lievi cagion che crudel guerra: Marte fuperbo, e fero, Apri tu, Padre, e 'ntenerifci, e fnoda: (Qual' io mi fia) per la mia lingua s'oda. Voi cui Fortuna ha pofto in mano il freno Di che nulla pietà par che vi ftringa; Del barbarico fangue fi dipinga? Poco vedete; e parvi veder molto: Colui è più da' fuoi nemici avvolto. Di che deferti ftrani Per innondar i noftri dolci campi! Questo n' avven', or chi fia che ne fcampi? Ben provvide Natura al noftro ftato Quando dell' Alpi fchermo Pofe fra noi, e la Tedesca rabbia. Ma 'l defir cieco, e'ncontra 'l fuo ben fermo Ch' al corpo fano ha procurato fcabbia. Or dentro ad una gabbia Fere felvagge, e manfuete gregge S' annidan sì, che fempre il miglior geme: Ed è quefto del feme, Per più dolor, del popol fenza legge, Al qual, come fi legge, Mario aperfe sì'l fianco, Che memoria dell' opra anco non langue; Quando affetato, e ftanco Non più bevve del fiume acqua, che fangue. Cefare |