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BALLATA I

Si lamenta del velo, che gli nafcondeffe gli occhi.

Laffare il velo o per Sole, o per ombra,
Donna, non vi vid' io,

Poi, che 'n me conosceste il gran defio

Ch' ogni altra voglia dentr' al cor mi fgombra.

Mentr'io portava i be' penfier celati,

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C' hanno la mente defiando morta,
Vidivi di pietate ornare il volto:
Ma poi, ch' Amor di me vi fece accorta,
Fur'i biondi capelli allon velati,
E l'amorofo fguardo in sè raccolto.
Quel che più defiava in voi, m' è tolto;
Si mi governa il velo,

Che per mia morte ed al caldo, ed al giefo,
De' be' voftr' occhi il dolce lume adombra.

SONETTO XI.

Spera, fe egli non muore prima che Laura invecchi, di poterle dire i fuoi affanni. Si duole di non poter palefare i dolori fuoi a Laura, e attribuisce la colpa alla bellezza di lei.

Se la mia vita dall' afpro tormento

Si può tanto fchermire, e dagli affanni,
Ch'i' veggia per virtù degli ultim' anni,
Donna, de' be' voftr' occhi il lume spento:

E i cape' d'oro fin farfi d'argento,

E laffar le ghirlande, e i verdi panni,
E'l vifo fcolorir che ne' miei danni
A lamentar mi fa paurofo, e lento:

Pur mi darà tanta baldanza Amore,
Ch'i' vi difcovrirò, de' miei martiri
Qua' fono ftati gli anni, e i giorni, e l' ore.

E fe'l tempo è contrario ai be' defiri;
Non fia ch' almen non giunga al mio dolore
Alcun foccorfo di tardi fofpiri.

SONETTO XII.

Quando vede Laura pacificata, più s'innamora, e ringrazia Dio che fe n' innamoraffe, per due cagioni.

Quando fra l'altre donne ad ora ad ora

Amor vien nel bel vifo di coftei;
Quanto ciascuna è men bella di lei,
Tanto crefce il defio che m'innamora.

I' benedico il loco, e'l tempo, e l' ora,
Che si alto miraron gli occhi miei;
E dico: Anima, affai ringraziar dei,
Che fofti a tanto onor degnata allora.

Da lei ti vien l'amorofo penfero,

Che mentre'l fegui, al fommo ben t'invia,
Poco prezzando quel ch' ogni uom defia:

I

Da lei vien l'animofa leggiadria,

Ch' al ciel ti fcorge per deftro. fentere ;
Sì ch'i' vo già della fperanza altero.

BALLATA II.

Occhi miei laffi, mentre ch' io vi giro Nel bel vifo di quella che v'ha morti, Pregovi, fiate accorti:

Che già vi sfida Amore; ond' io fofpiro.

Morte può chiuder fola a' miei pensieri
L'amorofo cammin che li conduce
Al dolce porto della lor falute.
Ma puoffi a voi celar la voftra luce
Per meno obbietto: perchè meno interi
(. Siete formati, e di minor virtute.

Però dolenti, anzi che fian venute

L'ore del pianto, che fon già vicine,
Prendete or' alla fine

Breve conforto a sì lungo martiro.

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Racconta quello, che faccia in andando. Si rivolta spesso a quella parte, dove era Laura; pofcia teme di non dovere mai ritornare: ultimamente fi maraviglia d'effer vivo.

Lo mi rivolgo indietro a ciascun passo
Col corpo ftanco, ch' a gran pena_porto;
E prendo allor del voftr' aere conforto,
Che '1 fa gir oltra, dicendo, Oimè laffo.
Poi ripenfando al dolce ben ch' io laffo,
Al cammin lungo, ed al mio viver corto;
Fermo le piante sbigottito, e fmorto;
E gli occhi in terra lagrimando abbasso.
Talor m'affale in mezzo a' trifti pianti

Un dubbio, come poffon quefte membra
Dallo fpirito lor viver lontane:

Ma rifpondemi Amor: Non ti rimembra,
Che quefto è privilegio degli amanti,
Sciolti da tutte qualitati umane?

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SONETTO XIV

Siccome il Peregrino va a Roma a veder il Sudario, per vedere la figura di Crifto: così egli va cercando Donna, che fimigli la fua.

Movefi '1 vecchierel canuto, e bianco

Del dolce loco ov' ha fua età fornita;
E dalla famigliuola sbigottita,

Che vede il caro padre venir manco:

Indi traendo poi l'antico fianco

Per l' eftreme giornate di fua vita,
Quanto più può, col buon voler s'aita
Rotto dagli anni, e dal cammino ftanco.

E viene a Roma feguendo 'l defio
Per mirar la fembianza di colui
Ch' ancor lassù nel ciel vedere fpera:

Così, laffo, talor vo cercand' io,
Donna, quant'è poffibile, in altrui
La defiata voftra forma vera,

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