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Dicendo: Non temer ch' i' m' allontani;
Di verde lauro una ghirlanda colfe;
La qual con le fue mani

Intorno intorno alle mie tempie avvolse.
Canzon, chi tua ragion chiamafie ofcura,
Di: Non ho cura: perchè tofto fpero,
Ch' altro meffaggio il vero

Farà in più chiara voce manifefto.
Io venni fol per isvegliare altrui;
Se chi m' impofe quefto,

Non m' ingannò, quand' io partii da lui.

Sparfo

SONETTO XCVI.....

'il rumore per tutta Italia della morte del Petrarca, benchè falfo, Maeftro Antonio da Ferrara fcrifle una Canzone, nella quale commendava il Petrarca, e fi doleva della fua morte. La quale recata al Petrarca, fcrive quefto Sonetto al detto M. Antonio, nel quale dice che, vedute le fue Rime, e per la bellezza, e per lo dolore moftrato per lui, è ftato sforzato a fcrivergli, ed a fignificargli che egli è vivo, benchè fia stato infermo, per confolarlo, e per dir, che non ispenda tanto ingegno in perfona che nol vaglia, come umiliandofi mostra egli di non valere.

Que

uelle pietofe time in ch' io m' accorfi
Di voftro ingegno, e del cortefe affetto;
Ebben tanto vigor nel mio cospetto;
Che ratto a quefta penna la man porfi,
Per far voi certo, che gli eftremi morfi
Di quella ch' io con tutto 'l mondo afpetto,
Mai non fentii: ma pur fenza fofpetto
Infin' all' uscio del fuo albergo corfi;

Poi tornai 'ndietro, perch' io vidi fcritto
Di fopra 'l limitar, che 'l tempo ancora
Non era giunto al mio viver prefcritto;
Bench' io non vi leggeffi il dì, nè l'ora.

Dunque s'acqueti omai 'l cor voftro afflitto; E cerchi uom degno, quando sì l'onora. |· 0000000000:0:000000000

BALLATA IX.

Di due cofe, fi maravigliava in Laura; d'una, che non amaffe, d'altra, che non avesse compassione del fuo affanno.

Orvedi, Amor, che giovinetta donna

Tuo regno fprezza, e del mio mal non cura;
E tra duo ta' nemici è sì fecura.

Tu fe' armato, ed ella in treccie, e 'n gonna
Si fiede, e fcalza in mezzo i fiori, e l'erba:
Ver me fpietata, e contra te fuperba.
I' fon prigion: ma se pietà ancor serba
L'arco tuo faldo, e qualcuna faetta;
Fa di te, e di me, fignor, vendetta.

SONETTO XCVII.

Dopo dicefette anni fi ravvede del fuo errore, e fe ne duole, provando in lui la verità del Proverbio, che altri cangia il pelo, anzichè 'I vezzo; e defidera o di liberarfi dall' amore in tutto, o d' amare moderatamente, e a fuo fenno.

Dicefett' anni ha già rivolto il cielo

Poi che 'n prima arfi, e giammai non mi spensi:
Ma quando avven ch' al mio ftato ripenfi,
Sento nel mezzo delle fiamme un gelo.

Vero è'l proverbio, ch' altri cangia il pelo
Anzi che 'l vezzo: e per lentar i fenfi,
Gli umani affetti non fon meno intenfi:
Ciò ne fa l'ombra ria del grave velo.
Oimè laffo! e quando fia quel giorno

Che mirando 'l fuggir degli anni miei
Efca del foco, e di sì lunghe pene?
Vedrò mai 'l dì che pur quant' io vorrei
Quell'aria dolce del bel vifo adorno
Piaccia a queft' occhi, e quanto fi convene?

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Avendo il Petrarca diliberato d' andare lontano, andò a Laura a fargliele a fapere, la quale, faputo ciò, impallidi. Ora in quefto Sonetto dice che quello impallidire gli pafsò nel cuore, e conobbe che volea dire. Commenda lo 'mpallidire, ed inter preta che cofa ella voleffe dire.

Q

uel vago impallidir che 'l dolce rifo
D' un' amorofa nebbia ricoperfe,

Con tanta maeftade al cor s' offerse,
Che li fi fece incontr'a mezzo 'l vifo.

Conobbi allor, ficcome in paradifo

Vede l'un l'altro; in tal guifa s' aperfe
Quel pietofo penfier ch' altri non scerse:
Ma vidil' io, ch' altrove non m' affifo.

Ogni angelica vifta, ogni atto umíle

Che giammai in donna ov' amor foffe, apparve,
Fora uno fdegno a lato a quel ch' i' dico.

Chinava a terra il bel guardo gentile;
E tacendo dicea (com' a me parve)
Chi m'allontana il mio fedele amico?

**

SONETTO XCIX.

Pone tre cagioni della sua infelicità; Amore il tormenta per troppo defio, la Fortuna gli toglie ogni conforto, la Mente penfa a' buoni tempi paffati, e per comparazione de' prefenti reijs' attrifta. Teme tuttavia peggio, nè ha speranza di meglio.

Amor,

Fortuna, e la mia mente fchiva
Di quel che vede, e nel paffato volta,
M' affliggon sì, ch' io porto alcuna volta
Invidia a quei che fon fu l'altra riva.

Amor mi ftrugge 'l cor; Fortuna il priva
D'ogni conforto: onde la mente ftolta
S'adira, e piagne; e così in pena molta
Sempre conven che combattendo viva,
Nè fpero, i dolci di tornino indietro;
Ma pur di male in peggio quel ch' avanza:
E di mio corfo ho già paffato il mezzo.

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Laffo, non di diamante, ma d'un vetro
Veggio di man cadermi ogni fperanza;
E tutt'i miei penfier romper nel mezzo.

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خوراد

C CANZONE XIII.

Si duole il Petrarca che tutte le vie da mitigare il fuo dolore fieno vane.

Se'l penfier che mi ftrugge,

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Com' è pungente, e faldo,

Così veftiffe d' un color conforme;
Forfe tal m' arde, e fugge,

Ch'avria parte del caldo;

E defteriali Amor là dov' or dorme':
Men folitarie l' orme

Foran de' miei piè laffi

Per campagne, e per colli:

Men gli occhi ad ogni or molli;
Ardendo lei che come un ghiaccio ftaffi;.
E non laffa in me dramma

Che non fia foco, e fiamma.

SAV (

Però ch' Amor mi sforza,

E di faver mi fpoglia;"

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Parlo in rim' afpre, e di dolcezza ignude:

Ma non fempre alla fcorza

Ramo, nè 'n fior, nè 'n foglia

3

Moftra di fuor fua natural virtude of yel

Miri ciò che 'l cor chiude,

ལས ་

Amor', e que' begli occhi

Ove fi fiede all' ombra,
Se 'l dolor che, fi fgombra,

Avven che 'n pianto, o 'n lamentar trabocchi;
L' un'a me noce, e l'altro

Altrui; ch' io non lo fcaltro,

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