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Ivi non donne, ma fontane, e faffi,
E l'immagine trovo di quel giorno,
Che 'l penfier mio figura ovunqu'io fguardo.

SONETTO XCIV.

In Valchiufa abitava il Petrarca di verfo Avignone.

Fuori della

Valle abitava Laura. La Valle di verfo Laura, ed Avignone era ferrata d'un falfo erto, nel quale però fi montava dalla parte del Petrarca pianamente. Or dice che, fe il fallo avelle volte le fpalle, cioè la montata piacevole, dove ha l' ertezza, i fudi fofpiri più agevolmente andrieno a Laura, che loro conviene fare un tomo: ed i fuoi occhi, perchè loro è tolta la veduta de' luoghi di Laura, non gli davan pianto, nè affanno a' piedi per riandare in luogo, donde poffano vedere i luoghi di Laura.

Se 1 faffo ond' è più chiufa questa valle,

Di che 'l fuo proprio nome fi deriva,
Teneffe volto per natura schiva
A Roma il vifo, ed a Babel le fpalle;

I miei fofpiri più benigno calle

Avrian per gire ove lor fpene è viva:
Or vanno fparfi; e pur ciafcuno arriva
Là dov' io 'l mando; che fol' un non falle:

E fon di là si dolcemente accolti,

Com' io m' accorgo; che neffun mai torna;
Con tal diletto in quelle parti ftanno.

Deggli occhi è 'l duol; che tofto che s'aggiorna,
Per gran defio de' be' luoghi a lor tolti
Danno a me pianto, ed a' piè laffi affanno.

SONETTO XCV

Conturtochè fi volga il feftodecimo anno del fuo affanno, ed abbia nojosa vita, e fi fia provato di lafciare Laura, non muta proponimento d' amare Laura.

Rimanfi addietro il feftodecim' anno

De' miei fofpiti; ed io trapaffo innanzi
Verfo l'eftremo; e parmi che pur dianzi
Foffe 'l principio di cotanto affanno.
L'amar' m' è dolce, ed util''il mio danno,

El viver grave; e prego, ch'egli avanzi
L'empia fortuna; e temo, non chiuda anzi
Morte i begli occhi che parlar mi fanno.
Or qui fon laffo, e voglio effer altrove;
E vorrei più volere, e più non voglio;
E per più non poter, fo quant' io poffo:
E d'antichi defir lagrime nove

Provan, com' io fon pur quel ch'i' mi foglio:
Nè per mille rivolte ancor fon moffo.

CANZONE XII.

Scrive fotto figura d' innamoramento il defiderio fuo di Gloria, la quale egli riputò un tempo il fovrano bene, ed alcuni ac cidenti avvenutigli in questo innamoramento, ponendo la Gloria effere Donna, e Sorella della Virtù.

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na donna più bella affai che 'l Sole,

E più lucente, e d'altrettanta etade,
Con famofa beltade

Acerbo ancor mi traffe alla fua fchiera:

Questa in pensieri, in opre, ed in parole;

Però ch'è delle cofe al mondo rade;
Quefta per mille ftrade

Sempre innanzi mi fu leggiadra altera:
Solo per lei tornai da quel ch' i' era,
Poi ch'i' fofferfi gli occhi fuoi da preffo:
Per fuo amor m' er' io meffo

A faticofa imprefa affai per tempo,
Tal, che s'i arrivo al defiato porto,
Spero per lei gran tempo

Viver quand' altri mi terrà per morto.
Questa mia donna mi menò molt' anni
Pien di vaghezza giovenile ardendo,
Siccom' ora io comprendo,

Sol per aver di me più certa prova,
Moftrandomi pur l'ombra, o'l velo, o' panni
Talor di sè; ma 'l vifo nascondendo:

Ed io, laffo, credendo

Vederne affai; tutta l'età mia nova

Paffai contento; e 'l rimembrar mi giova,
Poi ch' alquanto di lei veggio or più innanzi,
I' dico, che pur dianzi,

Qual' io non l'avea vifta infin' allora,

Mi fi fcoverfe: onde mi nacque un ghiaccio
Nel core; ed evvi ancora,

E farà fempre fin ch' i' le fia in braccio.

Ma non mel tolfe la paura, o'l gielo:
Che pur tanta baldanza al mio cor diedi;
Ch'i' le mi ftrinfi a' piedi,

Per più dolcezza trar degli occhi fuoi:
Ed ella, che rimoffo avea già il velo
Dinanzi a' miei, mi diffe: Amico, or vedi,
Com' io fon bella; e chiedi,

Quanto par fi convenga a gli anni tuoi.
Madonna, diffi, già gran tempo in voi
Pofi'l mio amor, ch'io fento or si 'nfiammato:
Ond' a me in quefto ftato

Altro volere, o difvoler m' è tolto.
Con voce allor di sì mirabil tempre
Rifpofe, e con un volto,

Che temer, e fperar mi farà fempre:
Rado fu al mondo fra così gran turba,
Chi udendo ragionar del mio valore
Non fi fentiffe al core

Per breve tempo almen qualche favilla:
Ma l'avverfaria mia, che 'l ben perturba,
Tofto la fpegne: ond' ogni vertù more;
E regna altro fignore,

Che promette una vita più tranquilla.
Della tua mente Amor, che prima aprilla,
Mi dice cofe veramente, ond' io
Veggio, che 'l

gran defio

Pur d'onorato fin ti farà degno:

E come già fe' de' miei rari amici;
Donna vedrai per segno,

Che farà gli occhi tuoi via più felici,

I volea dir: Queft' è impoffibil cofa;

Quand' ella: Or mira, e leva gli occhi un poco,

In più ripofto loco

Donna ch' a pochi fi moftrò giammai.

Ratto inchinai la fronte vergognofa
Sentendo novo dentro maggior foco;
Ed ella il prese in gioco,

Dicendo: lo veggio ben, dove tu ftai.
Siccome 'l Sol co' fuoi poffenti rai

Fa

Fa fubito fparir ogni altra ftella;
Così par or men bella

La vifta mia, cui maggior luce preme..
Ma io però da' miei non ti diparto:
Che quefta, e me d' un feme,

Lei davanti, e me poi produffe un parto.:
Ruppefi intanto di vergogna il nodo

Ch' alla mia lingua era diftretto intorno
Su nel primiero scorno

Allor quand' io del fuo accorger m'accorfi:
Encominciai: S' egli è ver quel ch' i' odo;
Beato il padre, e benedetto il giorno
C' ha di voi 'l mondo adorno;

E tutto'l tempo ch' a vedervi io corfi:
E fe mai della via dritta mi torfi,

Duolmene forte affai più ch'i' non mostro:
Ma fe dell' effer voftro

Foffi degno udir più, del defir' ardo:
Penfofa mi rifpofe, e così fifo
Tenne 'l fuo dolce fguardo,

Ch' al cor mandò con le parole il vifo.
Siccome piacque al noftro eterno padre;
Ciafcuna di noi due nacque immortale:
Miferi; a voi che vale?

Me' vera che da noi foffe 'l difetto.
Amate, belle, giovani, e leggiadre
Fummo alcun tempo; ed or fiam giunte al tale,
Che coftei batte l'ale

Per tornar all' antico fuo ricetto:

I' per me fono un'ombra: ed or t'ho detto
Quanto per te sì breve intender puoffi.
Poi che i piè fuoi fur mofli,

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