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Chi fmarrit' ha la strada, torni indietro:
Chi non ha albergo, pofifi in ful verde:
Chi non ha l'auro, o'l perde,

Spenga la fete fua con un bel vetro.

l' diè in guardia a fan Pietro; or non più, nòi
Intendami chi può; ch'i' m' intend' io.
Grave foma è un mal fio a mantenerlo.
Quanto poffo, mi fpetro; e fol mi fto.
Fetonte odo, che 'n Pò cadde, e morío:
E già di là dal rio paffato è 'l merlo:
Deh venite a vederlo: or' io non voglio.
Non è gioco uno fcoglio in mezzo l'onde,
E 'ntra le fronde il vifco. Affai mi doglio
Quand' un foverchio orgoglio

Molte virtuti in bella donna afconde.
Alcun' è che risponde a chi nol chiama:
Altri, chi'l prega, fi dilegua, e fugge:
Altri al ghiaccio fi ftrugge:

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Altri dì, e notte la fua morte brama.
Proverbio: Ama chi t' ama, è fatto antico,
I' fo ben quel ch' io dico, or laffa andare;
Che convien ch' altri impare alle fue fpefe
Un' umil donna grama un dolce amico..
Mal fi conosce il fico. A me pur pare
Senno, a non cominciar tropp' alte imprefe:
E per ogni paefe è buona ftanza.
L'infinita fperanza occide altrui:
Ed anch' io fui alcuna volta in danza.
Quel poco che m'avanza,

Fia chi nol fchifi, s'i'l vo' dare a lui.
I'mi fido in colui che 'l mondo regge,

E ch'e feguaci fuoi nel bofco alberga;

Che con pietofa verga

Mi meni a pafco omai tra le fue gregge.
Forfe ch' ogni uom che legge, non s'intende:
E la rete tal tende, che non piglia:
E chi troppo affottiglia, fi fcavezza,
Non fia zoppa la legge, oy' altri attende.
Per bene ftar fi fcende molte miglia.
Tal par gran maraviglia, e poi fi fprezza.
Una chiufa bellezza è più foave.
Benedetta la chiave che s'avvolfe
Al cor', 'e fciolfe l' alma, e fcoffa l'ave
Di catena sì grave,

E'nfiniti fofpir del mio fen tolfe.
Là dove più mi dolse, altri fi dole:
E dolendo, addolcifce il mio dolore;
Ond' io ringrazio Amore,

Che più nol fento; ed è non men che fuole.

In filenzio parole accorte, e fagge;

E'l fuon che mi fottragge ogni altra cura;
E la prigion' ofcura ov'è'l bel lume:
Le notturne viole per le piagge;
E le fere felvagge entr' alle mura;
E la dolce paura, e 'l bel coftume;
E di duo fonti un fiume in pace volto,
Dov' io bramo, e raccolto ove che fia:
Amor', e gelofia m'hanno 'l cor tolto;
E i fegni del bel volto,

Che mi conducon per più piana via
Alla fperanza mia, al fin degli affanni.
O ripofto mio bene; e quel che fegue;
Or pace, or guerra, or tregue;

Mai non m' abbandonate in quefti panni.

De' paffati miei danni piango, e rido;
Perchè molto mi fido in quel ch'i' odo.
Del prefente mi godo, e meglio afpetto;
E vo contando gli anni; e taccio, e grido;
E 'n bel ramo m' annido, ed in tal modo,
Ch'i'ne ringrazio, e lodo il gran difdetto,
Che l'indurato affetto al fine ha vinto,
E nell' alma dipinto, I' fare' udito,

E moftratone a dito; ed hanne estinto.
Tanto innanzi fon pinto,

Ch' il pur dirò: Non foftu tanto ardito.
Chi mha 'l fianco ferito, e chi'l rifalda;
Per cui nel cor via più che 'n carte scrivo; I
Chi mi fa morto, e vivo;

Chi in un punto m'agghiaccia, e mi riscalda.

BALLATA VIII.

Scrive per chi, e come s'innamorò, e quanto goda d'efferfi innamorato. Finge adunque un' Angelo in forma di Donna essere fcefo dal Cielo, e avergli tese infidie con un laccio nafcofo nell'erba.

Nova angeletta fovra l'ale accorta

Scefe dal cielo in fu la frefca riva,
Là 'nd' io paffava fol per mio deftino:
Poi che fenza compagna, e fenza scorta
Mi vide; un laccio, che di feta ordiva,
Tefe fra l'erba, ond' è verde 'l cammino:
Allor fui prefo; e non mi fpiacque poi,
Sì dolce lume ufcía degli occhi fuoi.

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SONETTO LXXXIV.

Si duole che gli occhi di Laura gli fieno fempre prefenti, e fempre o'ncendano. Prima moftra lo 'ncendimento èfferé grande: appreflo moftra che non lo può ceffare, e perchè dentro nel petto gli ha per immaginazione, e di fuori ogni cofa gli rapprefenta. Volendo intendere del Sole, del bianco, e del nero delle Stelle.

Non veggio, ove fcampar mi possa omai;

Si lunga guerra i begli occhi mi fanno: Ch'io temo, laffo, nò'l foverchio affanno; Distrugga 'l cor, che triegua non ha mai,, Fuggir vorrei má gli amorosi rai

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Che di, e notte: nella mente ftanno ir.
Rifplendon sì, ch' al quintodecim'annon
M' abbaglian più, che'l primo giorno affai:
E l'immagini lor fon si cofparte,

Che volver non mi poffo ov' io non veggia
O quella, o fimil' indi accefa luce.

Solo d'un Lauro tal felva verdeggia:
Che'l mio avverfario con mirabil' arte

Vago fra i rami, ovunque vuol, m' adduce.

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Era avvenuto che Laura non folamente non l'aveva fuggito, ma, fermatafi, l'aveva pietosamente riguardato. Di ciò dice di doverfene, come conofcitor del favore, fempre ricordare, e con gentil modo domanda ancora maggior cofa, cioè o lagrimetta, o fofpiro.

An
vventurofo più d' altro terreno,

Ov' Amor vidi già fermar le piante,
Ver me volgendo quelle luci fante
Che fanno intorno a sè l'aere fereno:

Prima poría per tempo venir meno
Un' immagine falda di diamante;
Che l'atto dolce non mi ftia davante
Del qual' ho la memoria, e 'l cor sì pieno:
Nè tante volte ti vedrò giammai,

Ch'i' non m'inchini a ricercar dell' orme
Che 1 bel piè fece in quel cortese giro,
Ma fe'n cor valorofo Amor non dorme;
Prega Sennuccio mio, quando 'l vedrai,
Di qualche lagrimetta, o d' un fofpiro.

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SONETTO LXXXVI.

In commendazione del luogo, dove aveva veduta Laura verfo lui pietofa, dice che truova quivi refrigerio di tutti gli affanni amorofi per la memoria del bene, che già vi vide.

Laffo,

quante flate Amor m' affale;

Che fra la notte, e'l di fon più di mille;
Torno dov' arder vidi le faville

Che '1 foco del mio cor fanno immortale.

Ivi m' acqueto: e fon condotto a tale,

Ch' a nona, a vefpro, all'alba, ed alle fquille*
Le trovo nel pensier tanto tranquille,
Che di null' altro mi rimembra, o cale.

L'aura foave che dal chiaro vifo

Move col fuon delle parole accorte,
Per far dolce fereno ovunque fpira;

* Squille pone per l'ora della fera, quando in alcuni luoghi fi fuona per l'Ave Maria.

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