Io per me prego il mio acerbo dolore, Quefto Sonetto è proemio del feguente. Nel tempo adunque che il Petrarca era, fe non libero da Amore, almeno non tormentato, ed era lontano dalla vifta di Laura, vide due Amanti fcolorarfi in un punto, e farsi vivi, e morti. Ora Amore gli diffe più volte, che fcrivelle in Rime care, e pregiate quefto atto ficcome fomma lode d'Amore. E perchè il Petrarca pareva che lento fi ingveffe ad obbedirgli, gli minaccia di trattarlo male, fe lo può condurre alla prefenza di Laura. Laonde il Petrarca compofe il feguente Sonetto, del quale quefto è fcufa, e cagione, perchè l' abbia fcritto. Più volte Amor m'avea già detto: Scrivi, Un E s'e' begli occhi ond' io mi ti mostrai, SONETTO LXXIII. Rende la ragione, perchè un' Amante alla presenza della perfona amata impallidifca come morto, e goda alcuna volta di tale impallidire. Quando giugne per gli occhi al cor profondo "L'immagin donna, ogni altra indi si parte; E del primo miracolo il fecondo Nafce talor: che la fcacciata parte Quinci in duo volti un color morto appare: E di quefto in quel dì mi ricordava 1 ********* ************************ SONETTO LXXIV. In questo Sonetto non fi duole di non potere narrare le fue pene a Laura, perchè gli occhi fuoi le veggano; ma fi duole che la fua fedeltà non operi in Laura quello, che la fedeltà d'alcuni ha operato nel lor Signore: ficcome di Maria, e di Pietro in CrA fto, ancorachè fofiero indegni d' effere ricevuti per altro. Così potefs' io ben chiuder in verfi I miei penfier, come nel cor li chiudo: Quel colpo ove non valfe elmo, nè fcudo; SONETTO LXXV. Quantunque alcuna volta desperato abbia in odio la speranza, e il fuo defiderio, nondimeno, ricordandofi della bellezza di Laura, muta mente, che è sforzato di feguir Laura, la quale di volontà prefe ad amare, ficcome Adamo di volontà peccò, e tutti i fuoi Descendenti non di volontà, ma sforzati peccano. Rende dunque ragione, perchè seguiti l'amor di Laura con tanti tormenti, To fon dell' afpettar' omai si vinto, E della lunga guerra de' fofpiri; Ch'i'aggio in odio la fpeme, e i defiri, Ma 'I bel vifo leggiadro che dipinto Allor' errai quando l'antica ftrada Di libertà mi fu precifa, e tolta: Che mal fi fegue ciò ch'a gli occhi aggrada. Allor corfe al fuo mal libera, e fciolta Of a pofta d'altrui conven che vada L'anima, che peccò fol' una volta. SONETTO LXXVI Seguita quefto Sonetto il precedente, avendo detto che aveva perduta la libertà, e che contra fua voglia era sforzato a seguire l'amore di Laura. Pone l'infelicità del fuo ftato fervo, il quale pare tanto più infelice, quanto lo ftato della libertà era più. bello. Ahi, bella libertà, come tu m' hai Partendoti da me moftrato, quale Gli occhi invaghiro allor sì de' lor guai, 1 Che 'I fren della ragione ivi non vale; Nè mi lece afcoltar chi non ragiona Della mia morte: che fol del fuo nome Amor' in altra parte non mi sprona; Nè i piè fanno altra via, nè le man, come 0000000 SONETTO LXXVII. Confola Orfo che, dovendo combattere, per giufto impedimento non potè comparire in campo il dì della Giornata, dicendo che, perchè il corpo fia ritenuto, il cuore però è in campo e così ftima ogn' uno, che per paura non fia reftato di venire, ma per ragionevole cagione. Orfo, al voftro deftrier fi può ben porre Un fren, che di fuo corfo indietro il volga; Ma 'l cor chi legherà, che non fi fciolga; Se brama onore, e'l fuo contrario abborre? Non fofpirate: a lui non fi può torre Suo pregio, perch' a voi l' andar fi tolga; Egli è già là, che null' altro il precorre. Che gli dà il tempo, Amor, virtute, e 'l fangue; Gridando: D'un gentil defire avvampo Col fignor mio, che non può feguitarme; |