Non temo già, che più mi strazj, o scempie, Nè mi ritenga, perch' ancor m'invischi; Nè m'aprà il cor, perchè di fuor l'incischi, s' Con sue faette velenose, ed empie. Lagrime omai da gli occhi uscir non ponno; Ma di gir in fin là fanno il viaggio; Sì, ch' appena fia mai chi 'l paffo chiuda. Non si, ch' i' arda; e può turbarmi il sonno, ad SONETTO. LX111. Ragionamento tra il Petrarca, e gli occhi suoi. A cui si debba attri buire la colpa, e la cagione dell'amore del Petrarca al cuore, o agli occhi. Il Petrarca difende il cuore. Occhi , piangete; accompagnate il core, Che di vostro fallir morte sostene, Così sempre facciamo; e ne convene Lamentar più l' altrui, che 'l nostro errore. Già prima ebbe ger voi l entrata Amore: Laonde ancor, come in suo albergo, vene. Noi gli aprimmo. la via per quella fpene Che mosle dentro da colui che more. Non fon, com'a voi par, le ragion pari: Che pur voi foste nella prima vista Ch'e perfetti giudicj son si rari, అలలు ントパークトーバーパーパー*バーバーバーパーバーバリー SONETTO LXIV. ra, e di questo accidente ne tesse questo Sonetto. Narra pri- ciò cadrebbe morto, se la speranza nol softenelle in vita. 1. amai sempre, ed amo forte ancora, E fon per amar più di giorno in giorno Spesse fiate, quando Amor m accora: Ch'ogni vil cura mi levar d'intorno; Di ben far co' suoi esempi m' innamora. Per affalirmi 'l cor' or quindi, or quinci, Questi dolci nemici ch' i' tant' amo? E se non ch' al desio cresce la fpeme; SONETTO LXV. fu felice. E pruova che non verrà mai il tempo felice da por inorrà infelice, morendo nelle miserie. Lo avrò fempre in odio la fenestra Onde Amor m'avventò già mille strali, G 2 1931214 Ma 'l sovrastar nella prigion terrestra Cagion m'è; laffo, d' infiniti mali: Poi che l' alma dal cor non fi scapestra, Per lunga esperienzia omai, che 'l tempo Non è chi ’ndietro volga, o chi l' affreni. Vattene, trista; che non va per tempo SONETTO LXVI. Per certa fimilitudine di Sagittario, e per le parole formali di Laura poste dal Petrarca, e prima per arte, ed ora per vista, conosce il Petrarca essere fedico a morte. Per la qual cosa ancora dee sapere che per nuove fedite può tormentarlo, ina non ucciderlo più. Volendo tacitamente domandargli, che cessi dal fedirlo più, poichè in ogni modo morrà. Si costo, come avvien che l'arco scocchi, Buon fagittario, di lontan discerne, Fede ch'al destinato segno tocchi;, Donna, sentiste alle mie parti interne Lagrime per la piaga il cor trabocchi. Misero amante! a che vaghezza il mena? Ora veggendo, come 'l duol m'affrena; Quel che mi fanno i miei nemici ancora, SONETTO LXVII. ma. debile, sem Delibera di fuggire da Amore, e duolli di non essere fuggito pris Confortá gli altri a fuggire, ma priına che avvampino: che perchè egli scampi, non avviene però ciò ad ogn' uno. Poi che mia speme è lunga a venir troppo, E della vita il trapaffar si corto; Per fuggin dietro più che di galoppo: Dall de lati, ove 'l delio m'ha storto; Securo omai:, ma pur nel vifo porto i Segni ch'io presi all' amoroso intoppo. :) Ond' io consiglio voi che fiete in via, Volgere i pafli: e voi ch' Amore ravvámpa, 18 Non v'indugiare fu l' eftremo' ardora: m 3 Era ben forte la nemica mia; un 0000000000000000000* SONETTO LXVIII. Narra a certe Donne come fuggi da Amore 'una volta; e poi, parte perchè gli dispiaceva la libertà, parte perchè Amore gri tese insidie, fu imprigionato di nuovo; e che ora con gran fatica ne può fuggire. Moleanni a far di me quel ch'a lui parve, Quanto la nova libertà m' increbbe. Viver un giorno: e poi tra via m' apparve Che più saggio di me ingannato avrebbe: Diffi: Oimè, i il giogo, e le catene, e i ceppi Oui E con quanta fatica oggi mi spetro |