SONETTO LXXVII. Spera e crede già vicino quel dì, E mi par d'or in ora udire il messo, Che Madonna mi mande a se chiamando: Così dentro, e di for mi vo cangiando ; E sono in non molt'anni si dimesso Ch'appena riconosco omai me stesso: Ma devrebbe il tempo esser da presso. pur O felice quel dì, che, dal terreno Carcere uscendo, lasci rotta e sparta Questa mia grave, e frale, e mortal gonna; E da si folte tenebre mi parta, Volando tanto su nel bel sereno, Ch'i' veggia il mio Signore, e la mia Donna! SONETTO LXXVIII. Le parla in sonno de' suoi mali. Ella s'attrista. L'aura mia sacra al mio stanco riposo Spira si spesso, ch' i' prendo ardimento Io incomincio da quel guardo amoroso, Ella si tace; e di pietà dipinta Fiso mira pur me; parte sospira ; Onde l'anima mia dal dolor vinta, SONETTO LXXIX. Brama la morte, che Cristo sostenne per lui, e che Laura pure in quello sostenne . Ogni giorno gni giorno mi par più di mill' anni Ch'i' segua la mia fida e cara duce, Che mi condusse al mondo, or mi conduce Per miglior via a vita senza affanni : E non mi posson ritener gl' inganni Del mondo; ch' il conosco: e tanta luce Dentr' al mio core infin dal Ciel traluce, Chi'ncomincio a contar il tempo, e i danni. Nè minacce temer debbo di Morte, Ed or novellamente in ogni vena SONETTO LXXX. Dacch'ella morì, ei non ebbe più vita. Disprezza dunque ed affronta la morte. Non può far Morte il dolce viso, amaro; Ma 'l dolce viso, dolce può far Morte. E quei, che del suo sangue non fu avaro, Che col piè ruppe le tartaree porte; E non tardar; ch'egli è ben tempo omai: D'allor innanzi un dì non vissi mai : CANZONE VI. Gli riapparisce; e cerca, più che mai pietosa, di consolarlo ed acquetarlo. Quando uando il soave mio fido conforto, Ed un di lauro trae del suo bel seno; Ciel Empireo, e di quelle sante parti Umilemente; e poi domando: Or donde Sai tu'l mio stato? Ed ella: Le trist' onde Del pianto, di che mai tu non se❜sazio, Con l'aura de' sospir, per tanto spazio Passano al Cielo, e turban la mia pace; |