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Sonetto di M. F. Petrarca a Sennuccio, trátto colla risposta dalle Rime Antiche poste in fine della Bella Mano di Giusto de' Conti, della nuova edizione a c. 124.

Siccome

Piccome il padre del folle Fetonte,
Quando prima sentì la punta d'oro
Per quella Dafne che divenne alloro
Delle cui frondi poi si ornò la fronte:

E come il sommo Giove del bel monte
Per Europa si transformò in toro;
E com per Tisbe tinse il bianco moro.
Piramo del suo sangue innanzi al fonte:

Così son vago de la bella Aurora,

Unica del sol figlia in atto e in forma,
S'ella seguisse del suo padre l'orma.

Ma tutti i miei piacer convien che dorma
Finchè la notte non si discolora:
Così perdendo il tempo, aspetto l'ora.

E se innanzi di me tu la vedesti,

Io ti prego, Sennuccio, che mi desti.

Risposta di Sennuccio al Petrarca.

La bella Aurora nel mio orizzonte,

Che intorno a sè bëati fa coloro
Ch' ella rimira; ed ogni cosa d' oro
Par che divenga al suo uscir del monte;

Pur stamattina colle luci pronte

Nel suo bel viso di color d'avoro,
Vidi si fatta, c' ogni altro lavoro
Della Natura o d'arte non fur conte.

Onde io gridai a Amore in quella ora:
Per Dio, che l'occhio di colui si sdorma;
Che, il Sol levando, seco si conforma.

Non so se il grido giunse a vostra norma:
Mai se veniste senza far dimora,

Qui pure è giorno, e non s' annotta ancora.

Non sogliono esser piè mai tanto presti, Quanto quei di color da Amor richiesti.

Piacciavi farme di quel monte dono,

Ch' io v'ò furato in quel ch' io vi ragiono..

GIACOMO COLONNA

A M. F. PETRARCA.

Se le parti del corpo mio distrutte,

E ritornate in atomi e faville
Per infinita quantità di mille
Fossino lingue, ed in sermon ridutte ;

E se le voci vive e morte tutte,

Che più che spada d' Ettore e d' Achille Tagliaron mai, chi risonar udille, Gridassen come verberate putte;

Quanto lo corpo e le mie membra foro
Allegre, e quanto la mia mente lieta,
Udendo dir che nel romano Foro

Del novo degno fiorentin Pöeta

Sopra le tempie verdeggiava alloro;
Non porïan contar, nè porvi meta.

RISPOSTA.

Mai non vedranno le mie luci asciutte,

Parte II. Sonetto LIV

IACOPO NOTAIO

A M. F. PETRARCA.

Messer Francesco, con Amor sovente
Voi ragionate de vostri disiri:

Date un consiglio a' miei caldi sospiri,
Da scaldar lei che nulla d'amor sente.

Perchè vi dico e giuro veramente,

Che quando questi ne' suoi occhi aggiri, Si sdegna, e 'n guiderdon mi dà martiri, E più nimica mia fassi repente.

E s'egli avvien c' a' miei sospiri in breve
Si turbi in vista, dai rubini e avorio
Veggio uscir quel che spiacemi che tarda.

Voi, che fareste in questo viver greve? E sappiate che ciò che scrivo e storio, che non v'è cosa bugiarda.

È vero,

RISPOSTA.

Io canterei d' Amor sì novamente,

Parte I. Sonetto CI.

Nell' edizione fatta in Firenze dagli Eredi di Filippo Giunta l'anno 1522, viene attribuito il seguente Sonetto a Giacopo de' Garatori da Imola.

GIACOPO DE' GARATORI DA IMOLA
A M. F. PETRARCA.

O no

novella Tarpea in cui s'asconde Quell' eloquente e lucido tesoro

Del trionfal poetico caloro,

Ben era corso per le verdi fronde:

Aprite tanto, che delle faconde

Tue gioie si mostrinó a coloro

C' aspettano; ed anch' io in ciò m' accoro Più cassetato cervo alle chiare onde:

E non vogliate ascondere il valore
Che vi concede Apollo; che scienza.
Comunicata suol multiplicare:

Ma'l stilo vostro di alta eloquenza,
Vogli alquanto il mio certificare
Qual prima fu, o Speranza od Amore..

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