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CANZONE VI..

Quando

uando il söave mio fido conforto,
Per dar riposo alla mia vita stanca,
Ponsi del letto in su la sponda manca
Con quel suo dolce ragionare accorto;
Tutto di piéta e di paura smorto,
Dico: Onde vien' tu ora, o felice alma?
Un ramuscel di palma,

Et un di lauro trae del suo bel seno ;
E dice: Dal sereno

Ciel empireo, e di quelle sante parti
Mi mossi; e vengo sol per consolarti.
In atto ed in parole la ringrazio
Umilemente; e poi domando: Or donde
Sai tu 'l mio stato Ed ella: Le trist' onde
Del pianto di che mai tu non se' sazio,
Coll' aura de' sospir, per tanto spazio
Passano al Cielo, e turban la mia pace;.
Si forte ti dispiace

Che di questa miseria sia partita,
E giunta a miglior vita:

Che piacer ti devría se tu m' amasti
Quanto in sembianti e nel tuo dir mostrasti.
Rispondo: Io non piango altro che me stesso,
Che son rimaso in tenebre e 'n martire,
Certo sempre del tuo al Ciel salire,
Come di cosa c' uom vede da presso.
Come Dio e Naturà avrebben messo
In un cor giovenil tanta virtute,
Se l'eterna salute

Non fosse destinata al suo ben fare?
O dell' anime rare,'

C' altamente vivesti quì fra noi,

E che subito al Ciel volasti poi.

Ma io, che debbo altro che pianger sempre,
Misero e sol; che senza te son nulla?
C' or foss' io spento al latte ed a la culla,
Per non provar dell' amorose tempre!
Ed ella: A che pur piangi e ti distenpre?
Quant' era meglio alzar da terra l' ali;
E le cose mortali,

E queste dolci tue fallaci ciance
Librar con giusta lance;

E seguir me, s'è ver che tanto m' ami,
Cogliendo omai qualcun di questi rami !
I' volea domandar (rispond' io allora ) :
Che voglion importar quelle due frondi?
Ed ella: Tu medesmo ti rispondi,

Tu la cui penna tanto l' una onora.

Palma è vittoria; ed io, giovane ancora,
Vinsi 'l mondo e me stessa: il lauro segna
Trionfo ond' io son degna,

Mercè di quel Signor che mi diè forza.
Or tu, s' altri ti sforza,

A lui ti volgi, a lui chiedi soccorso;
Sicchè siam seco al fine del tuo corso.

Son questi i capei biondi, e l' aureo nodo
(Dico io) c'ancor mi stringe; e quei begli occhi
Che fur mio sol! Non errar colli sciocchi,
Nè parlar (dice) o creder a lor modo.
Spirito ignudo sono, e'n Ciel mi godo:
Quel che tu cerchi, è terra già molt' anni:
Ma per trarti d' affanni,

M' è dato a parer tale; ed ancor quella
Sarò più che mai bella,

A te più cara sì selvaggia e pia,
Salvando insieme tua salute e mia.

I' piango: ed ella il volto

Con le sue man m' asciuga; e poi sospira
Dolcemente, e s' adira

Con parole che i sassi romper ponno:
E dopo questo, si parte ella e 'l sonno.

CANZONE VIL

Quell' antiquo mio dolce empio signore,

Fatto citar dinanzi alla reina

Che la parte divina

Tien di nostra natura, e 'n cima sede;

Ivi, com' oro che nel foco affina,

Mi rappresento carco di dolore,

Di paura e d'orrore;

Quasi uom che teme morte, e ragion chiede: E 'ncomincio: Madonna, il manco piede, Giovinetto, pos' io nel costui regno:

Ond' altro ch' ira e sdegno

Non ebbi mai; e tanti e sì diversi
Tormenti ivi soffersi,

C' al fine vinta fu quell'infinitas

Mia pazienzia, e 'n odio ebbi la vita.
Così 'l mio tempo infin qui trapassato
È in fiamma e 'n pene; e quante utili oneste
Vie sprezzai, quante feste,

Per servir questo lusinghier crudele!
E qual ingegno à sì parole preste

Che stringer possa 'l mio infelice stato,
E le mie d'esto ingrato

Tante e sì gravi e sì giuste querele?

O poco mel, molto aloè con fele!

In quanto amaro à la mia vita avvezza
Con sua falsa dolcezza

La qual m' attrasse all' amorosa schiera!
Che, s'i' non m' inganno, era

Disposto a sollevarmi alto da terra:

E' mi tolse di pace, e pose in guerra.

Questi m'à fatto men amare Dio,

TAYLOR

Ch'i' non devea; e men curar me stesso 050
Per una Donna ò messo

Egualmente in non cale ogni pensero.
Di ciò m' è stato consiglier sol esso,
Sempr' aguzzando il giovenil desio
All' empia cote; ond' io

- Sperai riposo al suo giogo aspro e fero.
Misero! a che quel chiaro ingegno altero,
E l'altre doti a me date dal Cielo?

Che vo cangiando 'l pelo,

Nè cangiar posso l' ostinata voglia;
Così in tutto mi spoglia

Di libertà questo crudel ch' i' accuso,
Camaro viver m' à volto in dolce uso.
Cercar m' à fatto deserti päesi;
Fiere e ladri rapaci; ispidi dumi;
Petrar. T. II.

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