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OSSERVAZIONI SUL PANEGIRICO DI NAPOLEONE

non dispiace; quando un poco di quella maniera de' padroni del mondo s'adopera in pensare e parlare di tanto Signore, che solo ha superato la potenza e la saviezza del romano imperio. Noi crediamo che quest' opera, raccomandata alla posterità dal nome di Napoleone, vi recherà anche testimonio che l'età nostra, comechè miserabilmente scaduta dal possesso della eloquenza, che tanto fu glorioso all'Italia, pur ne conserva tuttora qualche non vile desiderio.

Nota. Da pochissimi letto, da tutti taciuto, passò il Panegirico. Però alcuni sforzarono l'autore a scriverne questo articolo. Nè di avere ceduto potrebbe scusarsi (benchè non sia senza esempi) se ora non amasse l'oc casione di confessare e biasimare la sua debolezza d'allora. 1

1 Debolezza di avere ceduto allo scusarsi; non (come alcuni tortamente interpretarono ) debolezza d' avere composto il panegirico.

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Il quale dice poco sopra l'autore, Se lo avesse scrillo latino. E forse di voltarlo tale ebbe intenzione; trovandosi fra le sue carte di mano propria questo principio Napoleonem Imperatorem laudare labor est profecto unicuique exoptandus; plerisque vero mortalium, nisi forte paucissimis, magnopere extimescendus: illud enim divinum lumen, quod honori bonoque humani generis exortum esse cognoscimus, nec sine culpa taceri posse videtur, nec oratione contingi cítra periculum.

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(E)

DI GIAMPIETRO ZANOTTI

Per la solennità de' premii all' Accademia bolognese nell' 809 m' é quasi certo che il Giordani s' avesse proposto di lodare publicamente Giampietro Zanotti, primo secretario di essa. E forse supponendo dovere gli astanti ammirarsi che fra tanta copia di nobili temi presenti, scegliesse argomento vecchio d'appunto cent' anni; scusavasi di ciò agli uditori, principiando il ragionamento colla gentile filosofia di queste parole:

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Mirabile e natural cosa è, o Signori, che il più degli uomini i quali sono esercitati a pensare, viva per cosi dire co' suoi pensieri fuor del tempo della sua vita presente: nè manco degna di considerazione mi pare la differenza che si vede tra gli umani ingegni in questa vita d'imaginazione; perocchè laddove i cupidi e ambiziosi continuamente si cacciano in mezzo ai tempi futuri, quasi sforzandosi di farseli più propinqui e di godere quella felicità che desiderano o sperano a venire; gli animi più sedati, e ad una non ingrata malinconia inchinevoli, del futuro come affatto incerto e oscuro non curanti, si rivolgono più volentieri a riandare i tempi passati, e se in quella memoria trovano alcun dolce, di quello si pascono desiderosamente e si confortano. Quindi è la dilettazione che tutti gl' intelletti non leggieri, che d' affetto sono capevoli, prendono delle istorie. La quale umana passione come facilmente creduta così piacevolmente scusata credo che sarà in me, e benevolmente accolta come cagione al mio odierno ragionamento.

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Ma scritto sin qui, s' avvisò d' abbandonare il Zanotti, e in vece recitare del Martinelli, come segue. (E)

ELOGIO DI VINCENZO MARTINELLI

ALL'ACCADEMIA DI BELLE ARTI IN BOLOGNA

8 GIUGNO 1809.

Non ho dimenticato, o Signori, il debito della mia promessa: ma, come spero, non sarà discaro se in vece di regole all'arte, io questa volta con alquante parole pro curi onore alla memoria di un valente artista, cittadino vostro e accademico, Vincenzo Martinelli. Al quale l'anno passato demmo di pietà e riverenza pubblico testimonio con pompa di esequie; ma delle opere e della vita di lui la preparata lode si tacque. Nè io perciò presumerei di rendere a quel degno uomo l' ufficio che altri aveagli apparecchiato, e fu distolto da compiere, se non mi paresse quasi espres samente richiedermene la solennità di questo giorno, destinato all' onore delle buone arti. E quale più conveniente onore, che mostrare per effetto com' elle adornano la vita e non lasciano perire la memoria di chi degnamente le pratica? Oltrechè alla persona ch'io tengo è imposto debito di fare memorevole commendazione degl' illustri accademici. Tra' quali chi dubiterà di dar luogo principale a Vincenzo Martinelli; che a questa Reale Accademia, oltre un lungo e lodato esercizio nella pittura, portò quasi una eredità di gloria col nome dell' Accademia Clementina; della quale fu due volte principe, e fu per molti anni l'ultimo segretario?

Meritamente visse caro a quelli che furono con lui giovani, con lui attemparono. A noi, restati addietro, e serbati ad una età per le arti più felice, si convien tenere in

tanto maggior conto la virtù sua, quanto possiamo essere migliori estimatori delle difficoltà ch' ella ebbe; non più dalla fortuna che dalla educazione. Dobbiamo a sua lode rammentarci com' egli umilmente nato, e rimaso fanciullo d'anni dieci alla custodia della madre vedova; non ebbe in quella povera orfanezza altro sostegno, non alle belle arti avviamento, fuorchè l' amorevole cura di Carlo Lodi; che veramente se lo tolse quasi più a figliuolo che a discepolo. Ma come quel dabbene uomo non gli mancò di parte alcuna di paterna pietà; e anche morendo gliene lasciò pegno l'ereditaggio delle sue piccole sostanze; così non potè darsegli maestro migliore di quanto portasse la condizione di que' tempi. Nè gli esempi del buono, che in casa gli mancavano, poteva andare procacciandoseli fuora, impedito dalle strettezze domestiche. E nondimeno sopra la falsa disciplina valse tanto la felice natura e il vigoroso ingegno del giovanetto, che nel dipingere paesi e scene (questo solo genere di pittura volle seguitare) passò il mezzano, si di valore e sì di riputazione. Ond' è ch' egli era intorno ai trent'anni, quando gl' ingegni sogliono ancora lodarsi per le speranze, e già la patria si pregiava di lui; e' signori amavano di abbellire co' suoi dipinti le magnificenze e le delizie de' loro palagi; e ne' templi e ne' teatri veniva richiesto di fare le scene agli spettacoli, che in quegli anni di opulenta quiete con più allegro spendere si celebravano. Rimane ancora memoria e desiderio di quelle figurate rappresentazioni di cristiani misteri, che ne' di pasquali si facevano per le chiese, con tanto studio e concorso della città; quasi gareggiando ogni ingegno delle arti a festeggiare la religione, ch' era in que' tempi tanta materia alle costumanze del popolo, e teneva gran parte di pubblica felicità. Nè mai quelle feste sacre si ricordano senza molto lodare il Martinelli, de' sontuosi apparati inventore. Il quale parve poi che sè stesso e la comune opinione vincesse, quando nel maggior teatro della città si fece lo spettacolo musicale d'Orfeo ed egli, mostrando quel che pittura può, mise nell' animo ai riguardanti poco meno che un vero godere delle amenissime verzure e de' campi lieti di Eliso. E

non era sola a lodarsi di lui la patria; dove penuria del buono poteva allora far gli uomini contentarsi facilmente del mediocre ma i Parmigiani, festanti nelle nozze di Ferdinando Borbone colla figliuola e sorella di Cesari Amalia, chiamato questo giovane bolognese ad operare in quelle regali pompe, lo accolsero con molto onore; e contentissimo di lode e di premio lo rimandarono. Nè si stette fra' termini de' convicini la fama; chè delle sue opere fu desiderio in Venezia, in Lombardia, in Roma: nella quale città come pregiatissimo regalo si davano e si prendevano da’ primi signori; e quelle poi sino a Parigi e a Londra e sino a Pietroburgo hanno recato nome alla scuola bolognese.

Non oserei in questa città si dotta delle arti, nella presenza di tali professori interporre alcun mio giudizio sui lavori di qualunque artista: ben però sarammi conceduto ch'io non taccia quello che autorevoli maestri m' hanno dato del Martinelli perch' io qui oggi lo reciti. Chè sebbene egli (com'è detto) s' incontrò ad una età grossa, e trascurata di conoscere e scegliere il bello; non pertanto mancò d'assai parti buone; e in alcuna fu conosciuto eccellente. Quei medesimi a' quali parve piuttosto ignobile e povero nelle invenzioni de' suoi paesi, come contento al solo naturale qual che si fosse; e parve, se non imperito almanco negligente della prospettiva (e dicono della lineare; poichè nell' aerea senza dubbio ebbe pratica e diligenza somma); que' medesimi che in lui desiderarono più dignità ed eleganza di stile, confessano però che la semplicità delle composizioni, la verità della imitazione, la franchezza dell'operare, il digradare delle tinte, il lumeggiare si vedevano in lui singolari; non gli negano molta intelligenza di ombrare; lo riconoscono ammirabile nel rappresentare la serenità, la leggerezza, la lucidezza dell' aria e de' vapori; lo trovano similmente invidiabile nel mostrare delle acque, ora stagnanti, ora scorrenti, ora dal cadere rifrante, la limpida fresca trasparenza. E quello che di ricco e poderoso ingegno è grande argomento, ammirano com' egli, o ristringa l'arte entro piccoli quadretti, o largo campo le dia da spaziare, sempre ti riesce non comunale maestro. Lo

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