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mal tentata vendetta contro Giovanni da Oleggio; o il più fortunato impeto contra il mal cittadino Romeo, che cresciuto d'usure a tanta ricchezza quanta niun privato ebbe, se n'era fatto strumento a mettere la patria in servitù; avevi pur felice e non pericolosa materia, i Milanesi dalle mura due volte respinti, poi dalla bastita di Casalecchio scacciati; le genti de' Veneziani de' Fiorentini e di Papa Eugenio rotte a Castel-bolognese; Niccolò da Tolentino fatto prigione ; le forze del Marchese di Monferrato cacciate di Castel San Giovanni e di Castelfranco; la libertà contro Filippo Duca Visconte e Niccolò Piccinino ricuperata, e'l covo della tirannide popolarmente preso e disfatto; le notturne insidie del Signor di Carpi e de' Viniziani (invano aiutandole domestica tradigione) castigate con fortissima pugna e chiarissima vittoria.

Non t' invitavano i nobili giovani Betto Biffoli e Guido d'Asciano a dipingere quella giostra, onde il nome degl'Italiani dallo insultare de' Brettoni vendicarono ? Circondava la città con barbarico esercito il feroce Roberto Cardinal Gebennese; e indarno la forza adoperava ad espugnarla, e non gli erano riuscite le pratiche de' tradimenti. Vanno da Bologna presso il campo de' nemici i due cavalieri Italiani; si fanno incontro i due provocatori; stanno ansiosi all'evento della tenzone due popoli. Guido e il Brettone s'incontrano colle lance; e ad un tratto cadono feriti da cavallo: ma Guido si rizza primiero; e soprastando allo steso e semivivo nemico, lo sforza a rendersi prigione. Betto dopo molto contrasto ferisce ed abbatte il suo avversario; si getta da cavallo, e va addosso a colui per ammazzarlo. Accorre il Cardinale, e prega per la vita del vinto. Biffoli, contento che tutti lui riconoscano vincitore e padrone del nemico, al legato pregante lo dona.

Lasciamo tutt'altro. Fra tanti giorni che l'antica gente vide memorandi e gloriosi, non fu argomento di magnifica ed immortale pittura quel giorno che la città trionfando festeggiò della vittoria, la quale presso al Panaro, combattendo per la libertà con gara di valore, popolo e cavalieri avevano ottenuta ? Spettacolo desiderabilissimo di essere a

tutti i secoli rinnovato. Si sentono le trombe; appaiono da lontano i pennòni; le aste lampeggiano. Vengono incoronate di quercia le schiere vittoriose, quali a cavallo e quali a piè, portando le spoglie de' nemici. Dietro a quelle il re figliuolo di Federico Augusto, scema la fronte d'orgoglio ma non di ferocia. Vedi come nel folto popolo sono cupidamente da ogni occhio cerchi, e d'ogni bel saluto ringraziati Lambertólo Butrigari, Michele Orsi, e 'l figliuolo di Guido Lambertini, che il re terribile abbiano disarmato e preso. Vedi come alzando i piccoli sulle braccia lo mostran loro di lontano le madri, poco fa spaventate, ora sicurate e imbaldanzite per la salute e la vittoria de'figliuoli e de' mariti. Ma le nuore e le donzelle in vista non giulive, mostra che loro non tocchi il passato pericolo nè la presente gloria de' padri e de' fratelli: e negli atti e nelle parole di malinconica pietà pare che cordoglino la sventura di Arrigo, e 'l miserabile compianto che ne farà la dolorosa regina Adelasia, con quelle povere fantoline Elena Maddalena Gostanza: Pure ai petti anelosi, ai volti che ora sbiancano ora incolorano, e agli occhi umidi e tremolanti, non ti accorgi di quale celata ansia veramente lor batte il cuore, guardando avidamente l'alta statura, e'l fiero aspetto, e la bellissima e aiutante persona del principe, e 'l maturo fior di giovinezza che venticinque anni non passa, e i biondi capegli che cadono quasi alla cintura? Ben s'intende come i lor pensieri maledicono la fortuna, che potè tradire quella gagliardia quel valore; e come vorrebbono maledire la vittoria, che a tanto bel garzone fu rea. La viril turba più volentieri mira la nobile gioventù, che colle spade sfoderate circondano il trionfale carro covertato di porpora; e sul carro in abito purpureo il mio concittadino Filippo Ugone Pretor de' Bolognesi, coi Luogotenenti dell'esercito Antonio Lambertazzi e Lodovico Geremei; mesce il battere delle palme alla gazzarra; e i casi vari della battaglia discorre. Seguono la pompa con facce dimesse e torbie il tiranno de' Cremonesi Buoso da Dovara; e una ciurma di catenati Sardi e Tedeschi, strascinanti per la polvere le cattivate bandiere.

XII.

Ma alla negligenza dei tempi trascorsi (che solo utilmente si riprende quando con ben fare si ammendi) sarà certo da voi riparato, valorosi pittori e scultori; ai quali il nostro secolo impone si grave debito, e per la vostra fama, e per lo aspettare de' posteri. Niun' altra età vide più mirabili cose o di guerra o di pace; non più strani ludibri di fortuna, non più notabili esempi o di virtù o di vizi; niun'altra sofferse più aspri travagli, o surse a più ardite speranze. E coloro a chi questo tempo sarà antico domanderanno pure alle arti tutto quello che de' casi nostri si poteva mantenere non solo alla memoria ma ai sensi perenne. Ben io vorrei colle parole precorrere a quello che voi farete; vorrei numerare almeno gli argomenti delle vostre opere; le calamità, i desiderii, le speranze del genere umano, massimamente dell' Italia. E forse l'oserei; se potessi sperare l'eloquenza di quel sommo e modestissimo uomo, del quale, come di raro ornamento, non la terra natale soltanto, ma la nazione tutta e l'età nostra può gloriare, e ch' io nominerò quantunque presente e ripugnante Filippo Schiassi. Quando però in me la facoltà del dire non seguita di uguale passo l'ardir de' pensieri, tacitamente auguro che la possanza e la provvidenza di Lui a chi'l mondo ubbidisce, la zelante prudenza de' magistrati, il coraggio de' giovani, il senno de' filosofi, il forte imaginare degli artisti, il buon volere di tutti, ci ritornino finalmente nella dignità d' uomini e d' Italiani; la quale dai nostri passati abbandonata, e talora tentata invano di ricuperare; si era da noi stessi inutilmente, cioè NON FORTEMENTE desiderata.

ORAZIONE SECONDA

Detta nella R. Accademia di belle Arti in Bologna il di 26 giugno 1806 per la solenne distribuzione de' Premii.

Quando fui chiamato all' onore (da me non richiesto) di ragionare in quest' Accademia delle belle Arti, mi entrò nell'animo un pensiero che fosse venuto il giorno in che io potessi ottenere alcuna consolazione di lode agli studi, ai quali non mi aveva la fortuna dato altro ricompenso che di travagli. Ma quella temerità e vanagloria giovanile io l'ho repressa e castigata subito, pensando ch'io non potrei far cosa abbastanza degna di questo luogo, e da tutti volentieri ascoltata: e mi sono risoluto che un discorso breve e semplice senza ambizioso apparecchio di eloquenza mi sarà più facilmente perdonato; andando la brevità incontro al fastidio, e per la semplicità lontanandosi ogni sospetto di arroganza. Però mi basterà dir poche cose ad esortare la gioventù che prenda soggetti di utilità e grandezza morale, se vuole crescer di gloria nell' arti della pittura e della scultura.

So che assai diversa è l'opinione di molti; ai quali pare che le arti debbano contentarsi di quella gloria che loro vien dal bene imitare; senza cercarne di più dall'importanza delle cose imitate. Nè io voglio contendere con alcuno. Sebbene potrei ricordare di Aristotele, che presa amicizia con Protògene da Cauno, (il quale gli avea ritratta la madre Fèstide) volle persuadergli che lasciati i lievi e geniali argomenti, studiasse di vivere nell'ammirazione degli uomini e nella fama de' posteri, effigiando le grandi valentie di Alessandro Pellèo: e potrei aggiungere che Nicia non meno famoso pintore (per quello che Demetrio Falerèo racconta)

soleva dire che solamente dalla grandezza de' subietti viene grandezza e gloria alla pittura.

Ma se vogliamo, senza disputa, considerare le cose; troveremo che la gloria delle arti si acquista per lo piacere ch'elle procurano agli uomini; e così tanto saranno più lodate e care quanto maggior piacere daranno. E se da ranno un piacere non tenue ma grande, non fugace ma durevole altamente negli animi, non dipendente dal caso ma dalla volontà ; il che vuol dire se al diletto aggiungeranno l'utile, avranno più riputazione. Vediamo in fatti che le arti dapprincipio trovate per necessità cercarono di poi anche il diletto; come ad esempio l'arte di fare le abitazioni, o quella di comunicare i pensieri. E quelle arti che dapprima intesero solamente al diletto vollero poi arricchirsi ancora della utilità: come fra molte è avvenuto alla poesia, che è pure si strettamente congiunta d'interessi, e di voglie tanto somiglievoli alla pittura. Quando coteste arti deliziose impararono ad essere utili, allora si videro onorate da uomini gravissimi: e si vide Socrate si gran maestro di Sapienza, e Solone tanto ordinatore di civiltà, quegli dal divino oracolo e questi dal consenso degli uomini giudicato sopra tutti sapientissimo, vestire di poetico adornamento la civile dottrina; e si vide Pitagora Euripide Platone Pirrone maneggiare pennelli.

Ma le arti dilettevoli non possono aggiungere l'utilità, se non alzandosi a grandi e forti subietti: dai quali solamente procede quel grande e straordinario piacere che rapisce gli uomini, e li volge poi in ammiratori e adoratori de'valenti artisti. Il che si conoscerà accadere necessariamente, se vogliamo investigare l' indole del piacere; come ben la intese Aristotele, e meglio poi la dichiarò quel sommo ingegno di Iacopo Stellini. Perocchè essendo il piacere non altro che movimento o negli organi del senso, o in quella che diciamo imaginativa, generato da impulsi di cose esterne, o dalle loro sembianze che la memoria riproduce; se la forza dell' azione esercitata dagli oggetti estrinseci o dalle specie loro, conservi proporzione colla forza onde i sensi e la imaginativa reagiscono, e se la natura

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