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Chè ciò che speculava, era in sua fine
L'opre sante e divine:

Onde pianger costei può sopra tutti,
Perch'ella trova ancoi pochi redutti.
Undici fur, ciascun con sua corona,
Che il portaro al sepolcro di Parnaso,
Che chiuso è stato per si lungo spazio;
Undici fur, siccome si ragiona,

Che bebbero dell'acqua di tal vaso:
Virgilio, Ovidio, Giovenale e Stazio,
Lucrezio, Persio, Lucano ed Orazio
E Gallo, e i due che fan mia mente sorda.
E a chi lode s'accorda?

Chè mai alcun di lui più non fu degno.
Poi dal cielico regno

Scese Apollo e Minerva,

Che sua corona serva,

E sì l'appese al suo penëo legno,
Il qual non teme säetta di Giove,

Nè secco vento, o piove;

Poi imbalsamaro il corpo, e l'alma santa
Portâr là su, dove Osanna si canta.

Tu hai, Lamento, a far

poco viaggio;

Io taccio la cagion, perchè la sai:

Ma va, chè troverai

Alcun dolersi teco.

Sol t'ammonisco e preco,

Che facci scusa di tua trista rima,

Che in tema sè sublima,

Chè il tuo fattor non è di più sapere.

Scusimi il buon volere.

E se alcuno del nome ti domanda,
Di': Quel che a ciò mi manda,
È Anton dei Beccar, quel da Ferrara,
Che poco sa, ma volentieri impara.

Alla qual Canzone il Petrarca rispos col Sonetto XIII. pag. 259, che principis: Quelle pietose rime, in ch'io m'accorsi, ec.

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Il Tassoni sopra il citato Sonetto fa il seguente elogio a questa Canzone: "Questo Sonetto è in risposta di una certa Canzonessa composta da maestro Antonio medico da Ferrara per la morte del Poeta, che falsamente s'era per Italia di» volgata: trovasi manuscritta fra le rime de' poeti antichi, che pare il Lamento di Mazzacucco; e comincia: Io ho già letto » il pianto dei Trojani. „

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Considerazione del Tassoni (che nella edizione modenese del Soliani si legge a carte 23) sopra il V11. Sonetto del Petrarca (Son. I. a pag. 243 di questa edizione) che incomincia: La gola e'l sonno e l'ozïose piume.

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"È Sonetto morale, scritto ad un amico ch'era in pensiere d'abbandonar le belle lettere e gli studii della filosofia, per darsi ad alcun'altra professione di più guada»gno, mosso dalle vane mormorazioni del volgo, che non vede e non ode se non quello che luce e suona. Lelio Lelii fu d'opinione che il Petrarca rispondesse al » seguente Sonetto del Boccaccio, che si legge in un manuscritto: »

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Tanto ciascuno a conquistar tesoro
In ogni modo si è rivolto e dato,
Che quasi a dito per tutto è mostrato
Chi con virtù seguisce altro lavoro:

Per che costantemente infra costoro
Oggi conviensi nel mondo svïato,
In cui, come tu se', già fu infiammato
Febo del sacro e glorioso alloro.
- Ma perchè tutto non può la virtute
Ciò che si vuol, senza 'l divino ajuto,
A te ricorro, e prego mi sostegni
Contra li fati avversi a mia salute;
E, dopo il giusto affanno, il mio canuto
Capo d'alloro incoronar non sdegni.

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«Ma perdonimi il Lelio, ch'io non so vedere che s'abbia a fare il Sonetto del Pe>> trarca nostro con questo, al quale se pur avesse voluto rispondere, non posso darmi a credere che non l'avesse fatto per le medesime rime. Altri hanno tenuto che il Petrarca rispondesse al seguente, che dicono essergli stato scritto da una donna da Fabbriano, o da Sassoferrato: »

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Io vorrei pur drizzar queste mie piume
Colà, signor, dove 'l desío m'invita;
E dopo morte rimanere in vita

Col chiaro di virtute inclito lume.
Ma 'l volgo inerte, che, dal rio costume
Vinto, ha d'ogni suo ben la via smarrita,
Come degna di biasmo ognor m'addita,
Ch'ir tenti d'Elicona al sacro fiume.
All'ago, al fuso, più ch'al lauro o al mirto,
Come che qui non sia la gloria mia,
Vuol ch'abbia sempre questa mente intesa.
Dimmi tu omai, che per più dritta via
A Parnaso ten vai, nobile spirto:
Devrò dunque lassar sì degna impresa?

VOL. I.

*16

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"Ma nè questa ha sembianza di poesia di donna, e di donna di quella età e di quel secolo rozzo, nel quale gli uomini stessi che aveano in questa professione credito e fama, s'avanzarono così poco.»

Sonetto del Conte Ricciardo di Battifolle al Petrarca.

Benchè ignorante io sia, io pur ripenso

Nella mia mente i valorosi fatti

De' buon del tempo antico, ed i lor atti, Che solo in ben fêro ogni lor dispenso. All'armi ed alla scienza era lor senso, E qual valea per li amorosi tratti; Perchè con questi, e non con quei m'accatti, Di cruda doglia sta l'animo offenso. Solo una cosa piglio per conforto,

Ch'io son con voi in vita, e ad un tempo Di cui la fama sempre cresce a volo. Spero però, che mo o a suo tempo Mi riconduca in più tranquillo porto Il bel dir vostro, ch'è nel mondo solo.

Questo Sonetto, di cui il Muratori non ha pubblicato che il fine nel lib. 1. cap. 3. della Perfetta Poesia, si legge tutto intero nel tom. 3. dei Comentarii della volgar Poesia del Crescimbeni, pag. 158 (edizione veneta), e in fine della Pietosa fonte, poema di Zenone da Pistoja (Deliciae erudit., raccolte dal Lami, tom. 14.); e fu anche stampato come di messer Tortoso al Burchiello fra le Rime di quest'ultimo nell'edizione che porta la data di Londra 1757, a

carte 241; e a carte 153 dello stesso volume trovasi la risposta attribuita al Burchiello, ch'è la stessa che leggesi qui come del Petrarca, se non che il primo verso comincia: Messer Tortoso, in vece di: Conte Ricciardo.

Gli risponde il Petrarca, se pur egli
n'è l'autore.

Conte Ricciardo, quanto più ripenso
Al vostro ragionar, più veggio sfatti
Gli amici di virtute; e noi si fatti,
Che n'ho'l cuor d'ira e di vergogna accenso.
E non so qui trovare altro compenso,

Se non che 'l tempo è breve, e i di son ratti:
Verrà colei che sa rompere i patti,

Per torne quinci; ed ha già il mio consenso.
Mill'anni parmi, io non vo' dir che morto,
Ma ch'io sia vivo: pur, tardi o per tempo,
Spero salir ov'or pensando volo.

Di voi son certo: ond' io di tempo in tempo Men pregio il mondo; e più mi riconforto, Dovendomi partir di tanto duolo.

I seguenti due Sonetti, di cui il Muratori non pubblicò che il principio, sono da un codice Ambrosiano attribuiti il primo a maestro Antonio da Ferrara, e il secondo al Petrarca; ma il codice Trivulziano, d'onde per la prima volta sono tratti tutti interi, non nomina l'autore del primo, ed

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